Blink-182: recensione di Enema of the State

Recensione a cura di Chiara Profili

1 Giugno 1999. Esce Enema of the State, il terzo album studio dei californiani Blink-182.

Gli anni ‘90 sono stati un periodo di grande varietà, per quanto riguarda il panorama musicale internazionale. Agli anni ‘90 associamo sicuramente il fenomeno grunge, ma anche il britpop con l’eterna ed insensata faida tra Blur ed Oasis, l’industrial metal di Marilyn Manson e Nine Inch Nails e l’epidemia di nu metal. In questo quadro multicolore non possiamo dimenticarci del pop punk.

Cos’era il pop punk? Se pop non significa altro che popolare, va da sé che il pop punk non è stato altro che un ritorno in auge di quello che, dopo i fasti degli anni ‘70, era diventato ormai un genere underground. Un revival punk, il cui sound era decisamente moderno ed orecchiabile, melodico e decisamente radiofonico. Fra i maggiori esponenti di questo stile troviamo Green Day, Rancid, Weezer ed Offspring, solo per citare i più noti.

I Blink-182 erano già in attività dal 1992, ma siamo abituati a considerarli dei successori dei gruppi sopracitati, perché il successo mondiale arriva per loro solo nel 1999, con l’album Enema of the State.

Grazie ai singoli What’s My Age Again?, All the Small Things e Adam’s Song, che venivano continuamente trasmessi in radio e su MTV, i Blink-182 diventano un’icona della generazione di adolescenti di fine anni novanta, che si identifica in quei testi, spesso umoristici, ma allo stesso tempo espliciti e sinceri.

L’album ha contribuito a rivoluzionare la corrente pop-punk ed ha ispirato la maggior parte dei gruppi musicali costituitisi nella generazione successiva.

La celebre copertina dell’album, che mostra un’infermiera in abiti succinti mentre indossa un guanto in lattice (Janine Lindemulder, pornostar statunitense), va a ribadire lo stile scanzonato e divertente dei Blink-182, i quali, ridendo e scherzando, riuscirono a vendere 15 milioni di copie in tutto il mondo.

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