Green Day: recensione di Dookie

Recensione a cura di Chiara Profili

1º febbraio 1994. Esce Dookie, il terzo album in studio dei Green Day, pubblicato dalla Reprise Records. Si tratta del maggior successo commerciale dei Green Day, del disco che ha donato loro popolarità, complice anche il periodo fortunato del revival punk rock di inizio anni ‘90.

Tempo fa scrissi un duro post su Americani Idiot, forse un po’ troppo severo. Naturalmente si trattavano di mie considerazioni personali, dettate anche da un inevitabile confronto immediato che la mia mente era stata portata a fare con Dookie.

Non è mai facile, per una band, mantenere lo stesso livello qualitativo album dopo album, specialmente quando ne hai prodotto uno di grande successo. Per giunta, credo che il punk sia uno dei generi più vulnerabili da questo punto di vista: il rischio che si esaurisca la vena creativa e, di conseguenza, quello di scrivere brani che si somiglino fra di loro, è altissimo.

Il punk deriva da uno stato di rabbia, d’insoddisfazione, di voglia di ribellione e non è così scontato che tali sentimenti permangano negli artisti una volta conquistati ricchezza e successo.

Comunque, nel 1994, i Green Day di Billie Joe Armstrong avevano fatto il salto di qualità firmando con una major, cosa che aveva fatto storcere il naso ai fan più integralisti. L’alternativa era rimanere una buona band conosciuta solo nel panorama punk underground e, per quanto un artista ribelle voglia sempre rimanere fedele a se stesso, credo che la sua più grande ambizione sia comunque quella di far conoscere la propria musica al maggior numero di persone possibile, magari senza scendere troppo a compromessi.

Questo è ciò che fecero i Green Day con l’album Dookie. Sventolarono la loro bandiera regalandoci un punk senza sovrastrutture, con testi sinceri, che toccano temi nei quali molti adolescenti degli anni ‘90 potevano immedesimarsi: dalla masturbazione, alle ragazze, dalla cannabis, alla noia, fino all’ansia e agli attacchi di panico.

Questa fu parte della loro forza comunicativa. I giovani potevano rivedere loro stessi nei testi di quei ragazzi americani, che esprimevano le loro emozioni attraverso una musica energica, vivace ed orecchiabile.

La voce di Billie Joe, che non amo particolarmente, credo si sposi comunque bene con il sound di questo disco, che risulta, dopo ben 26 anni, ancora fresco e incalzante. Sfido chiunque a non accennare un piccolo pogo sulle note di Basket Case, forse il brano simbolo di quest’album, di cui segnalo, per dovere di cronaca, la straordinaria e introvabile cover di Mino Reitano del 1998, intitolata Mino Dove Vai?.

Le altre tracce all’interno del disco (esclusa la traccia fantasma All By Myself, scritta e cantata dal batterista Tré Cool) sono tutte più o meno sullo stesso stile, fatta eccezione per When I Come Around che è un po’ meno punk e più pop rock, e contribuiscono nella loro omogeneità andare un’identità ben precisa a Dookie e agli stessi Green Day.

Naturalmente, siamo davanti ad un genere di musica talmente definito, che può non piacere. Io stessa ho faticato molto prima di riuscire ad apprezzare questo disco, che ad oggi riconosco, però, come un grandissimo album, uno dei capisaldi degli anni ‘90.

Con la sua copertina estremamente iconica e riconoscibile, posso affermare con una certa sicurezza, che Dookie sia uno di quei dischi assolutamente imprescindibili per gli amanti del genere.

© 2020 – 2022, Fotografie ROCK. All rights reserved.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.