I Fasti: recensione di Oltre

I Fasti

Oltre

I Dischi del Minollo, Scatti Vorticosi Records

20 aprile 2024

genere: spoken word, post-rock, sonorizzazioni, darkwave, synth-rock, noise

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

“La credenza che la realtà che ognuno vede sia l’unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni”. (Paul Watzlawick)

A distanza di quattro anni dalla pubblicazione di Tutorial, continuando a scavare tra le macerie emotive della contemporaneità, la band torinese I Fasti si riaffaccia sulla fervida scena dell’underground italico con il nuovo album intitolato Oltre, edito per le etichette I Dischi del Minollo e Scatti Vorticosi Records.

Nati nel 2008 dalle ceneri dei Seminole, gruppo storico del DIY tricolore, e con alle spalle un’intensa attività live che li ha visti condividere il palco con nomi illustri del panorama indie tricolore, quali Lo Stato Sociale, Uochi Tochi, Fine Before You Came, Luci Della Centrale Elettrica, ecc., I Fasti (in assetto composto da batteria elettronica, due bassi e voce) si aprono a una profonda ispezione etica dei nostri tempi, quando con istinto reazionario e sarcasmo, quando con cinismo e trasparente disillusione.

La materia compositiva della release si distribuisce tra stratificazioni post-rock, gelide tensioni darkwave, beat elettronici e una dialettica cantautorale contraddistinta da uno spoken-word evocativo e abrasivo, attraverso un misto di influenze stilistiche ascrivibili a nomi come Offlaga Disco Pax, Massimo Volume, Fluxus, Pierpaolo Capovilla e Zen Circus, combinando un’accattivante densità di suoni al pathos di una narrazione potente.

L’elemento collante è la consueta coerenza e sincerità di fondo, insieme al timbro perentorio e declamatorio di Brancucci, che va a conferire spessore fisico a un reading in prosa impegnato e dai versi taglienti, portando in superficie le verità scomode del nostro Paese, esposte senza filtri e pudori, anche a rischio, talvolta, di scivolare sui declivi di uno sloganesimo populista.

Lontani dalle strategie uniformanti del music business moderno, I Fasti indugiano sulle derive patologiche dell’oggi, puntando la lente d’ingrandimento sul tempo che scorre via inesorabile (“la vita è corta e se ne va”), sulle ingiustizie sociali perpetrate ai danni delle fasce deboli e sullo stato di salute di un’umanità – di cui noi tutti facciamo parte – sempre più schiacciata da quel modello di sviluppo e civiltà che lei stessa ha creato.

Le otto tracce di Oltre rappresentano un vero e proprio manifesto emotivo e politico; una critica diretta nei confronti di una società arrivista e omologante che ha mercificato la propria identità collettiva in nome dell’individualismo e del consumismo usa e getta (“non siamo venuti al mondo solo per svilupparci economicamente, ma per cercare di essere felici”), con conseguente annullamento delle emozioni (“è accaduto qualcosa al mio cuore, non ho ancora capito se c’entra con l’amore o con il dolore”) e incapacità di provare sincera empatia.

L’intenzione autorale del quartetto piemontese è quella di scandagliare vecchie e nuove problematiche che affliggono la contemporaneità: dai flussi migratori, evidenziando come alcune dinamiche di sopravvivenza siano rimaste identiche a quelle del medioevo (M24), al restyling della mentalità patriarcale (“ti piace ancora l’idea dell’uomo forte, ti piace ancora l’idea di una donna che sia una buona madre, ti piace ancora l’idea della razza, con questa idea del migliore e del peggiore”), dalla pace fatta con le bombe al ritorno dei fascisti (100 Fiori), dallo sfruttamento e i morti sui posti di lavoro alla tossicodipendenza delle piazze di spaccio (Claudia), passando attraverso crisi ambientali-sanitarie e crisi economico-bancarie.

Una presa di posizione tormentata e astiosa sia contro le élite del potere, in quel voler alimentare il controllo delle masse mediante il terrore mediatico, nel classico divide et impera (“uno contro l’altro, crea il tuo nemico e agisci indisturbato”), sia contro la classe degli scontenti, che anziché formare un fronte omogeneo e coeso si ritrovano divisi da interessi personali. La società moderna ha indotto gli scontenti a cercare la felicità nel possesso, nel consumo (“devi correre veloce, non puoi certo essere lento, noi dobbiamo consegnare tanti oggetti da desiderare”) e nella superficialità dell’intrattenimento trash, anestetizzando e neutralizzando ogni forma di dissenso.

Come già intuibile dalla scelta del titolo del disco, Oltre riassume l’invito a sporgersi al di là delle proprie possibilità, a superare le condizioni di stasi e i confini imposti dalle convenzioni umane, cercando di setacciare alternative possibili a quella che, passivamente dai nostri divani e dai nostri smartphone, crediamo essere l’unica realtà sostenibile. Capiremo mai che il nostro sguardo è l’unica cosa che non deve restare uguale?

Stare bene o stare male, dunque, è il dilemma shakespeariano che da sempre accompagna il lento naufragare dell’essere umano, fino a quell’attimo di lucidità in cui subentra il bisogno di doversi fermare, per riappropriarsi del proprio ritmo e tornare piano piano a respirare (“voglio ancora stare bene, voglio che anche tu stia bene”).

In quel “ci avete picchiati, ci avete derubati di quel futuro che oggi è poi il presente”, verosimilmente, è rintracciabile il senso dell’intero album: nella rassegnazione, nell’accettazione di aver perso, di non essere più in grado di poter cambiare le cose, di aver sbagliato tutto, di non avere più qualcosa in cui credere ciecamente.

Pertanto, come dicono I Fasti, “la vita è breve e se va lavorando”, e c’è ne accorgiamo (forse) solo quando diventiamo vecchi, quando non resta che il rimpianto e almeno un minimo di memoria storica da tramandare, a differenza di tutti quei cinquantenni figli del benessere. D’altronde, com’è possibile sfuggire alla cultura che noi stessi abbiamo creato?

Nel frattempo, mentre il concetto di democrazia sembra irreversibilmente compromesso alle logiche di concorrenza spietata e sleale del capitalismo, e visto che la sinistra si è progressivamente allontanata dalle esigenze del popolo, c’è chi si augura ancora che il modello capitalista crolli (“il sistema dovrebbe cadere di schianto e noi come acrobati seduti sui fili felici e salvi”), ignorando il fatto che a rimetterci il culo non sarebbero di certo i ricchi, bensì tutti gli altri.

facebook/ifasti

Tracklist:

1. RMC 2. José 3. Felici e Salvi 4. 100 Fiori 5. Claudia 6. Giada 7. M24 8. Stare Bene

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