Le Pietre Dei Giganti: recensione di Abissi

Le Pietre Dei Giganti

Abissi

15 novembre 2019

Overdub Recordings

genere: alternative rock, post punk, indie rock

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

“Quando non si ha esperienza del dramma dell’altro, anche il più alto dei sentimenti umani, che è l’amore, non può risolvere le cose e salvare l’altra persona”.

Dopo l’uscita dei singoli Vuoto, Greta e Canzone Del Sole, Le Pietre Dei Giganti hanno pubblicato il loro primo full-lenght Abissi, edito per Overdub Recordings di Marcello Venditti, registrato presso i Monolith Recording Studio e prodotto da Phil Liar.

Le Pietre Dei Giganti sono quattro appassionati di musica con background differenti e provenienti da quella Firenze che fu epicentro della scena new wave/rock indipendente italiana degli anni ’80, grazie a gruppi come Diaframma, Litfiba e Neon. Sono passati quasi quarant’anni da quello sfavillante periodo, ma ancora oggi la città degli Uffizi, così come tutta la Toscana, rappresenta una fucina di talenti sempre attiva, interessante e produttiva.

Cambiano i tempi, la musica e le mode, ma le tematiche restano invariate: il disagio esistenziale ed il lato oscuro dell’essere umano, la metafora del mare e l’abisso delle nostre paure irrisolte. Com’è profondo il mare: così cantava Lucio Dalla, già nel 1977.

Le profondità del mare sono, da sempre, vere e proprie muse ispiratrici nel mondo della musica. Soprattutto negli ultimi tempi per diversi musicisti italiani: basti pensare a Federico Fiumani, Marsala e Gianni Maroccolo.

Quello de Le Pietre Dei Giganti è un sound cupo, monolitico, dilatato, onirico, angosciante, spigoloso, abrasivo, potente e duttile che passa attraverso le percussioni in stile tribal-synth, il groove hard-rock dei Velvet Revolver, l’armonia dei Beatles, le inclinazioni retrò-psichedeliche anni ’70, le trame stoner di Space Cadet dei Kyuss, i riff abrasivi e le dissonanze lancinanti post punk degli Shellac e dei Jesus Lizard, l’inquietudine dei Joy Division, fino a sfiorare note country e jazz.

Come se ci fosse una luce particolare intorno ad alcuni suoni, un effetto sfumato quasi naturale, un alone di mistero innato. E allora viene da chiedersi: esiste ancora un’idea? C’è ancora una lampadina sopra le nostre teste?

Greta (il cui titolo è arrivato casualmente, molto prima che si accendessero i riflettori su Greta Thunberg e sulla questione ambientale) racchiude al suo interno un insieme di influenze sonore eterogenee, meno ruvide e fuzz rispetto agli esordi del 2016, che utilizza come minuscoli frammenti per comporre un mosaico strumentale intenso e sofferto.

Greta è una riflessione sull’essere in qualche modo legati ad una persona che sta vivendo un dramma. Sareste mai riusciti ad aiutare un’anima inquieta come quella, ad esempio, del compianto Layne Staley? Provate ad immaginare le difficoltà dell’avere una relazione con una persona che vive un disagio che non è il nostro e che quindi diventa difficile da capire, non appartenendoci in prima persona.

Greta nasce intorno a questa riflessione, che può essere riconducibile al concetto dell’incomunicabilità. “L’amore non basta a sentirsi legati se non si hanno gli stessi demoni da cui essere perseguitati”.

Quindi si va dall’incomunicabilità di Greta alla sensazione di vivere in un mondo che non ti sta capendo, che è poi la tematica di Vuoto. Fino ad arrivare alla profonda infelicità nella traccia Canzone Del Sole, raccontata dalla voce intensa del crooner Lorenzo Marsili e descritta in questa maniera dallo stesso cantante: “Come se essere felici non potesse essere nemmeno una possibilità contemplabile. Ed è in quel momento che la mente perde il controllo e porta i pensieri alle implicazioni più impulsive e catastrofiche”.

Abissi non è altro che un concept album: tutte le canzoni (cantate in italiano) affrontano vari tipi di abissi, di profondità umane legate al malessere della condizione umana, che vanno a colpire il singolo individuo nel momento in cui si trova a vivere nella società e a rapportarsi agli altri. Tutto questo ristagno emotivo (temporaneo?), questo rumore corrosivo che ci circonda lo potremmo riassumere come prodotto di Stasi della condizione sociale dei nostri tempi.

Menzione a parte per Trieste (La Casa Vuota), brano che chiude il disco e che affronta il tema della perdita di una persona cara, un altro demone da affrontare col quale abbiamo tutti a che fare, prima o poi. Dagli Abissi de Le Pietre Dei Giganti, in generale, non emergono grandi speranze: la band fiorentina racconta la propria percezione della realtà ma senza giudicare.

Come dichiarato dal chitarrista Francesco Utel nell’intervista (https://fotografierock.it/interviste-rock/intervista-a-le-pietre-dei-giganti) fatta proprio per Fotografie ROCK: “Il messaggio positivo di Abissi sta nel vedersi da fuori, nel non pensare a noi solo come individui unici, ma come un’umanità intera, generazioni che si susseguono l’una all’altra ed in un modo o nell’altro ci portano sempre più avanti“.

E allora viene da chiedersi: c’è ancora quella voglia di stracciare tutto e ricominciare daccapo che fu il motore trainante del post punk? È un lavoro delicato, ma ogni farfalla, pur con un’ala rotta, può tornare a volare.

Membri della band:

Francesco Utel: chitarra, cori

Lorenzo Marsili: voce, chitarra

Francesco Nucci: batteria, campionamenti

Niccolò Pizzamano: basso

Tracklist:

1. Vuoto

2. La lente dell’odio

3. Greta

4. DMA

5. Abissi

6. Canzone del sole

7. Mattine grigie

8. Stasi

9. Trieste (La casa vuota)

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