Ozzy Osbourne: recensione di No Rest For The Wicked

Ozzy Osbourne

No Rest For The Wicked

Epic Records

28 ottobre 1988

genere: hard rock, heavy metal

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

28 ottobre 1988. Ozzy Osbourne pubblica il suo quinto album solista per la Epic Records dal titolo No Rest For The Wicked.

Siamo nella seconda metà degli anni ’80, l’era del narcisismo e dell’edonismo Reaganiano, in cui l’individualismo non viene visto più come difetto, bensì come un valore aggiunto, come conditio sine qua non per il raggiungimento del successo, in tutti i settori della vita, dove il Noi diventa sempre più Io.

Di conseguenza, il termine look diventa une delle parole più in voga: i giovani avevano accantonato la visione di insieme del decennio precedente, caratterizzata dall’unione e dalla rivoluzione basata sulla fede politica, per distinguersi invece in base al look, all’abbigliamento, al voler apparire.

Non che oggi la situazione sia migliorata, tutt’altro.

Ve la ricordate la famosa moda antropologica anni ’80 dei paninari, degli yuppies? Ho letto da qualche parte che, secondo alcuni, per capire gli anni ’80 basterebbe guardare una puntata di Drive In: la meravigliosa mediocrità degli anni ’80.

Eravamo nell’epoca del mettersi in mostra a tutti i costi, una nuova era glamour, un revival della moda già in voga all’inizio degli anni ’70 ma mediaticamente più popolare e decisamente più imborghesita. Dovevamo guardare sempre e comunque chi stava meglio.

Il motto No Future dei Sex Pistols era soltanto un ricordo lontano e soprattutto un pensiero proibito nel decennio del consumismo degli Ottanta.

Ozzy Osbourne aveva capito appieno la mostruosità commerciale in cui si erano trasformati gli anni ’80: come non ricordare il travestimento da mostro peloso, da licantropo, o semplicemente da cazzone di Ozzy sulla copertina di Bark at the Moon del 1982.

Ma il rock di Ozzy Osbourne è quasi sempre una metafora culturale involontaria, raccontata attraverso la sua vulnerabilità, la sua impotenza, la sua rabbia repressa, e non importa quante teste di pipistrello riuscisse a staccare, in quanti posti importanti riuscisse a pisciare, o quante formiche riuscisse a sniffare.

No Rest For The Wicked inizia con uno dei brani, a mio parere, più belli della sua carriera, Miracle Man, con il quale Ozzy condannava la falsità e l’ipocrisia del famoso telepredicatore, evangelista televisivo, quello che lui chiama uomo del miracolo, Jimmy Swaggart.

Negli anni ’80, il reverendo Jimmy Swaggart aveva criticato aspramente e condannato i gruppi rock e le riviste rock, definendoli “la nuova pornografia”: li riteneva sporchi, degenerati e distruttivi per i valori della società e dei giovani.

Jimmy Swaggart portò avanti una campagna non ufficiale di censura nei confronti di tutta la scena rock, dei suoi contenuti, delle sue immagini, e soprattutto aveva additato Ozzy Osbourne come emissario del demonio. Ozzy un demonio? Si, può darsi, magari un povero diavolo.

Del resto, vi avevo già parlato, in altri post, dell’importanza mediatica che veniva data al tema del satanismo negli anni ’80. Purtroppo, anche allora, c’era sempre chi non capiva l’ironia, chi non riusciva a capire delle semplici strategie di marketing, dando un significato fuorviante e troppo elevato a dei finti adoratori del demonio, vestiti di borchie e pelle.

Va bene che gli adolescenti erano alquanto impressionabili, ma purtroppo c’era chi faceva leva su certe paure per un rendiconto personale e per influenzare una fetta di opinione pubblica.

Fatto sta che, coincidenza o no, le osservazioni del reverendo Swaggart, inizialmente, andarono a segno: ad esempio, l’importante catena di distribuzione Wal-Mart tolse dalla vendita sui propri scaffali, in ogni negozio in America, le riviste rock e i dischi di gruppi rock e metal.

Ma alla fine, per una imprescindibile legge universale del contrappasso, accadde che successivamente, proprio l’integerrimo reverendo Jimmy Swaggart venne beccato con le mani nella marmellata: venne sorpreso dalla polizia assieme ad una prostituta e con i pantaloni abbassati, “with his pants down”, tant’è che venne arrestato, “got busted”, scatenando un’enorme scandalo mediatico.

Bè, noi, nel nostro piccolo, seppur con modalità chiaramente diverse, avevamo Wanna Marchi e Giucas Casella, a proposito di grandi figure di cazzari televisivi. Il tema della condanna nei confronti dei telepredicatori verrà affrontato anche dagli Iron Maiden con il brano Holy Smoke.

Il video di Miracle Man è stato girato in una chiesa con una stalla piena di maiali all’interno di essa: che metafora meravigliosa.

La giustizia di Ozzy Osbourne poteva così realizzarsi e materializzarsi: Ozzy si prende gioco del telepredicatore e nel testo della canzone descrive il piccolo Jimmy predicatore come osceno, ipocrita, un diavolo con il crocifisso, miserabile e pagliaccio presuntuoso.

Il tutto accompagnato da un riff heavy metal, dal talk box durante il ritornello, dal ritorno di Bob Disley al basso, che secondo me non aveva nulla da invidiare ad uno come Steve Harris, dalla potenza di Randy Castillo alla batteria e dalla chitarra new entry del giovane talento Zakk Wylde.

Altri brani che, personalmente, ritengo fondamentali sono: Demon Alcohol, nel quale, com’è si evince dal titolo, tornano i demoni dell’alcolismo, già affrontati nel 1980 con Suicide Solution, e Bloodbath in Paradise, canzone sul massacro (bagno di sangue) compiuto da Charles Manson e la sua famiglia di adepti nei confronti di Sharon Tate, all’epoca moglie del regista Roman Polanski, e dei suoi ospiti nel paradiso della sua villa di Hollywood.

Nel testo, Ozzy lo chiama semplicemente Charlie, e cita i Beatles di Helter Skelter, vera e propria ossessione di Charles Manson.

L’album si chiude con Hero, meravigliosa power ballad anni ’80, in cui Ozzy ammette tranquillamente che non vuole essere un eroe, non vuole deludere nessuno, non poteva reggere quella responsabilità, sapeva che non avrebbe potuto sostenere una corona così pesante.

Negli anni ’80 la filosofia dell’heavy metal era strettamente legata al concetto di potenza, al voler dominare tutto e tutti.

Il metal degli anni ’80 doveva essere una rappresentazione di potenza, però, in certi casi, forse troppo forzata e costruita, e che a volte nascondeva il desiderio di essere qualcos’altro, di fuggire dalla strumentalizzazione dello stato d’animo dei suoi protagonisti.

A Ozzy Osbourne, invece, non interessava tutto questo: Ozzy voleva soltanto esprimere la sua debolezza, il suo grido d’aiuto, la sua inadeguatezza nei confronti della società, il tutto raccontato attraverso la sua maschera di sarcasmo, apparentemente selvaggia e ribelle.

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