Paul McCartney & Wings: recensione di Band On The Run

Recensione a cura di Chiara Profili

7 Dicembre 1973.
Esce Band On the Run, il quinto album solista di Paul McCartney e il terzo degli Wings. Attribuito a Paul McCartney & Wings, il disco fu l’ultimo della carriera dell’ex Beatle ad essere pubblicato sotto l’etichetta della Apple Records. L’album diventò il più grande successo degli Wings e viene considerato ancora oggi il vertice della carriera solista di McCartney.

Dopo lo scioglimento dei Beatles, avvenuto tre anni prima, ogni componente aveva l’arduo compito di dimostrare quanto valesse come singolo. Se da quasi dieci anni il binomio Lennon/McCartney era stato sinonimo di qualità, il buon Paul si trovava ora a collaborare con quella che era all’epoca sua moglie, la compianta Linda Eastman e con la band degli Wings.

Dopo aver già pubblicato due album da solista e altri due con gli Wings, McCartney e Linda volano in Africa, per la precisione in Nigeria, per registrare questo terzo lavoro, Band On The Run.
Fra difficoltà tecniche e rapine a mano armata, decidono di rientrare a Londra per terminare le registrazioni del disco, che arrivava dopo l’onda di successo ottenuta grazie alla celebre Live and Let Die, scritta per la colonna sonora del film di James Bond Vivi e Lascia Morire, che molti pensano essere un brano originale dei Guns n’ Roses.

In effetti è difficile dire quale delle due versioni sia più bella e avendole sentite entrambe live posso affermare che McCartney, quando la esegue nei concerti, ne fa una versione quasi più simile a quella dei Guns che non alla sua. Questo perché l’anima rock è sempre stata molto forte in Sir Paul.

Ma torniamo a Band On The Run. Il disco si apre con la title track, un classico brano alla McCartney, composto da più parti che sembrano quasi staccate tra di loro, ma che compongono un’opera unica dai mille sapori. La prima sezione è melodica, apparentemente romantica se non si bada al testo, che parla invece di un band rinchiusa in prigione, quindi direi piuttosto malinconica.

Alla prima parte ne segue una più vivace, le chitarre e il sintetizzatore incalzano ed il ritmo cresce. McCartney fantastica su una possibile evasione dal carcere ed è proprio nella terza ed ultima sezione del brano che ciò avviene. La band è in fuga e tutti li stanno cercando, but they will never be found, per dirla con un’enfasi alla Federico Buffa, non li prenderanno mai.

Questo è sicuramente uno dei pezzi più famosi degli Wings, un singolo di successo che contribuirà alle ottime vendite dell’album.

Il secondo brano è Jet, un bel pezzo rock dal sapore beatlesiano. È il McCartney che preferisco, dolce ed energico allo stesso tempo. La traccia migliore del disco, a parer mio. Segue la ballad Bluebird, che non è nemmeno una lontana parente della Blackbird del White Album, nonostante sia un brano piacevole. Quarta traccia Mrs Vandebilt, praticamente una Obladi Oblada incattivita e divertente. E poi diciamocelo: McCartney ha sempre avuto un bellissimo timbro vocale, già quello basta a far guadagnare punti anche al brano più banale.

La traccia successiva è la lennoniana Let Me Roll It. Omaggio o provocazione? Non c’interessa, è un bel pezzo e questo è l’importante. Gli ultimi quattro brani del disco sono meno incisivi di quelli descritti finora, ad eccezione forse dell’ultimo, Nineteen Hundred And Eighty Five, che riprende sul finale il ritornello di Band On The Run e chiude in maniera piuttosto energica e quasi funky questo album, che giudico davvero buono, pieno di spunti interessanti e di atmosfere diverse, ma sempre riconducibili ad un uomo che definirei uno dei pochi geni della musica ancora in vita.

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