Pearl Jam: recensione di Ten

Recensione a cura di Andrea Musumeci

27 Agosto 1991. Esce Ten, album d’esordio dei Pearl Jam pubblicato negli Stati Uniti dalla Epic Records: una commistione di sonorità anni ’70, dal blues alla psichedelia, dal punk al rock radiofonico.

“Sono abbastanza sicuro non abbiano fatto mezzo passo per sfidare le aspettative del pubblico come abbiamo fatto noi con questo album. Sono una rock band che gioca sul sicuro. Un rock gradevole che piace a tutti”. Così, Kurt Cobain aveva apostrofato i Pearl Jam in un’intervista apparsa su Rolling Stone Usa il 27 gennaio 1994.

Il nome dell’album, Ten, fu ispirato dal numero di maglia del giocatore di basket Mookie Blaylock e le canzoni cavalcavano il mood di quel periodo storico contraddistinto da tematiche oscure come la depressione, il suicidio, drammi familiari e la solitudine.

C’è qualcosa di nuovo nell’aria… Forse, qualcuno usò pressappoco questa espressione all’inizio dei ’90, probabilmente quelli che hanno vissuto in prima persona, o di riflesso, l’avvento di quella nuova moda, di quel remake filosofico punk e di quell’attitudine sonora caleidoscopica e multiforme provenienti da Seattle.

Nirvana, Mudhoney, Melvins, Pixies, Sonic Youth, Hüsker Dü, Screeming Trees, sono stati tra i maggiori esponenti di quel contesto geografico e discografico, così come Pearl Jam, Alice in Chains, Soundgarden e Stone Temple Pilots.

Mi ricordo benissimo quel periodo: ero quasi maggiorenne quando vidi per la prima volta lo stravagante cappello di Gossard e le arrampicate sulle impalcature dei palchi di Eddie Vedder. Sarà che una determinata tipologia di rock è strettamente legata alla gioventù, ma ce lo vedete il quasi sessantenne Eddie Vedder che si arrampica ancora sulle impalcature?

Ten, sebbene fosse un assemblaggio di pezzi scritti dai vari membri dei Pearl Jam quando suonavano in altre band della scena underground di Seattle, si presentava, comunque, come un lavoro discografico poliedrico e di personalità: rabbioso, incazzato, dai nervi scoperti, e con un sound immediato che trovava radici nel rock classico di fine anni ’60 ed inizio anni ’70, quello che fu di mostri sacri come Jimi Hendrix, The Who, Neil Young e Led Zeppelin.

Era il 1990, Stone Gossard scrisse il brano Dollar Short per i Mother Love Bone, ma, come tutti sanno, il frontman Andrew Wood morì per overdose di eroina. E fu così che Gossard volle formare una nuova band con gli amici McCready e Ament, però mancava il cantante, il frontman, e soprattutto mancava il testo giusto.

Così, il demo di Dollar Short iniziò a circolare fino ad arrivare fra le mani di un benzinaio di San Diego, in California, che nulla aveva a che fare con la scena di Seattle di quel periodo, tale Eddie Vedder, il quale, poco tempo dopo, cambiò il titolo di quel demo in Alive, diventando, a tutti gli effetti, il nuovo leader della nuova band.

Alive è, ancora oggi, un vero e proprio inno da stadio: trasmette al pubblico un messaggio positivo, un vero e proprio cavallo di battaglia dei Pearl Jam. “I’m still alive”: un ritornello quasi profetico se pensiamo al triste epilogo dei vari Andy Wood, Kurt Cobain, Chris Cornell, Layne Staley e Scott Weiland. Come diceva Christopher Lambert nel film Highlander: “Ne rimarrà soltanto uno!”.

I Pearl Jam contribuirono in prima linea al successo del grunge, fu il patto tra i cinque musicisti del gruppo (come intuibile dalla iconica cover), ma pian piano si staccheranno da quel cordone ombelicale per seguire una strada propria, nonostante le influenze musicali del passato che ne hanno caratterizzato il sound di base. Basti pensare alla canzone Even Flow, intersezione tra rette e parabole blues, tra il Peter Green post Fleetwood Mac e il Jimi Hendrix di Voodoo Child.

Once, Even Flow, Why Go, Release, Garden, Porch, Ocean e la suggestiva ballad Black sono solamente alcune delle tracce indelebili presenti tra i solchi di questo disco. La capacità vocale di Eddie Vedder era in grado, grazie alla sua timbrica particolarmente profonda ed il suo inconfondibile vibrato di suscitare emozioni uniche nell’ascoltatore, il quale rimaneva rapito da quel saper modulare e trasmettere il proprio vissuto sociale.

Ten è, dunque, una pietra miliare del rock anni ’90, un album che segnerà in maniera significativa il percorso della musica di quel meraviglioso e tormentato decennio.

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