Pink Floyd: recensione di Animals – 23 gennaio 1977

Recensione a cura di Chiara Profili

23 gennaio 1977. I Pink Floyd pubblicano Animals, il loro decimo album in studio, rilasciato due giorni prima per il mercato britannico.

Si tratta di un concept album formato da sole cinque tracce, un disco che rappresenta una critica feroce alle condizioni socio-politiche del Regno Unito degli anni Settanta. Un piccolo gioiello nella discografia dei Pink Floyd, piccolo solo per durata, appena 40 minuti, ma immenso per quello che è e che rappresenta.

Animals è un disco strano: i brani hanno ognuno il nome di un animale all’interno del titolo, in quanto l’album è liberamente basato sul romanzo satirico di George Orwell La fattoria degli animali e le varie specie stanno a rappresentare le diverse classi sociali.

I cani simboleggiano l’aggressività dei rappresentanti della legge, i maiali il dispotismo della classe politica e le pecore i comuni mortali, schiavi, ciechi e manipolabili, soggiogati dalle prime due categorie ed incapaci di ribellarsi.

L’album è uno dei capisaldi del progressive rock. Le tracce variano molto dall’una all’altra per lunghezza, molto brevi quelle d’apertura e chiusura e oltre i 10 minuti le altre tre.
È un disco fortemente Watersiano, precede di due anni il successo di The Wall e si sente.

Strumentalmente è ricco di assoli e la chitarra di Gilmour ha veramente un bel suono, tranne quando, in Pigs (Three Different Ones), viene filtrata attraverso una talk box per riprodurre i versi animaleschi e dare quindi volutamente un effetto sgradevole. Uno stratagemma davvero interessante.

Ciò che ha reso questo album memorabile, tuttavia, è la famosa copertina. La fotografia raffigura una centrale elettrica londinese, la Battersea Power Station, tra le cui ciminiere fluttua un gigantesco maiale gonfiabile. Noto l’aneddoto che racconta di come il maiale si staccò dall’ancoraggio e prese a fluttuare per i cieli di Londra. Diventando, così, uno dei simboli più famosi dei Pink Floyd.

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