Queen: recensione di Jazz

Recensione a cura di Chiara Profili

14 Novembre 1978. Esce Jazz, il settimo album in studio dei Queen. In soli 4 anni, i Queen avevano già pubblicato ben sei dischi ed erano in ascesa nel mainstream discografico.

Reduci dal successo del precedente lavoro News of The World, che conteneva i celeberrimi e ormai stucchevoli singoli We Will Rock You e We Are The Champions, cavalcano l’onda di popolarità incidendo questo album, Jazz, che di jazz non ha proprio nulla.

I brani spaziano dall’hard rock in puro stile Queen di Fat Bottomed Girls, al funky di Fun It, un assaggio di quello che sarà la disco anni ‘80, targato Roger Taylor, alla soporifera ballad Jealousy, per tornare all’hard rock di Dead On Time, bel pezzo, quasi zeppeliniano, targato Brian May. Notevole anche l’apporto di John Deacon, che sforna un altro bel pezzo rock, If You Can’t Beat Them, bel riff. Penso che i The Darkness di Justin Hawkins abbiano ascoltato molto questo disco.

L’album però si apre con un brano spiazzante: Mustapha. Io, sinceramente, non l’ho capito; per qualcuno potrà essere geniale, a me non sembra altro che il richiamo di un Muezzin impazzito. Magari geniale, ma per me inascoltabile.

Tuttavia, non sono questi che ho citato i brani più noti di Jazz. Il primo singolo estratto fu Bicycle Race, scatenatore di polemiche per via della copertina osé e del poster contenuto nelle prime copie dell’LP, ancora più osé, nel quale 65 modelle partecipavano ad una corsa ciclistica, completamente nude.

Il secondo singolo è uno dei pezzi più belli che i Queen abbiano mai scritto, una ventata di allegria, energia, positività, buonumore e chi più ne ha più ne metta. Avrete capito che sto parlando di Don’t Stop Me Now. Impossibile ascoltarlo da fermi, genera la sensazione in chi lo ascolta di sentirsi invincibile. Uno di quei brani che da solo vale il prezzo del disco.

Penserete che sia una fan sfegatata dei Queen, e invece no. Dopo i primi tre album, davvero belli, i Queen hanno alternato alti e bassi. Questo disco, seppur in parte maltrattato dalla critica, è secondo me uno dei momenti alti della band inglese capitanata dal compianto Freddie Mercury, che alternava sessioni di registrazione a festini dal divertimento sfrenato. Che fosse quella la combinazione giusta per il successo? Probabilmente la risposta è da cercare in Jazz.

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