Iron Maiden: recensione di Seventh Son of a Seventh Son

11 aprile 1988.

Gli Iron Maiden pubblicano il loro settimo album, il concept ‘Seventh Son of a Seventh Son’.

L’album ha debuttato direttamente al primo posto nella classifica inglese ed è arrivato fino alla dodicesima posizione negli Stati Uniti.

Gli Iron Maiden, negli anni ’80, riuscirono a parlare di satanismo con spudorata noncuranza, sebbene, alla fine, fosse tutto una metafora.

Nel meraviglioso video della canzone ‘Can I Play With Madness’, pieno di immagini celtiche e nuvole, un insegnante bacchettone si accorge che uno degli studenti sta disegnando il volto di Eddie e nasconde una rivista metal in tasca.

Il professore viene perseguitato e tormentato da un’armata di pagani incappucciati per aver maltrattato il giovane studente metallaro.

Il videoclip è una sintesi di quello che gli adolescenti trovano, o meglio, trovavano affascinante nell’occulto.

La musica degli Iron Maiden diventava un mezzo per entrare in contatto con una forza oscura che avrebbe reso forti i più deboli.

‘Can I Play With Madness’ è semplicemente la rappresentazione di quel concetto astratto, cioè la Pazzia intesa più come una specie di incantesimo.

Questi erano gli innocenti metallari satanisti degli anni ’80.

Quante altre band, di qualsiasi genere musicale, possono vantare ben sette album consecutivi di successo?

I primi sette dischi degli Iron Maiden sono, indiscutibilmente, dei veri e propri capolavori del genere heavy metal.

Poi, certo, ci fu la polemica da parte dei tifosi integralisti legata all’utilizzo dei sintetizzatori: del resto gli Iron Maiden, già con il precedente ‘Somewhere in Time’, decisero di modernizzare il sound caratteristico della band, di renderlo più anni ’80.

‘Seventh Son of a Seventh Son’ è un disco magico, un sogno senza fine.

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