Recensione a cura di Andrea Musumeci
7 gennaio 1971: i Black Sabbath pubblicano l’album Paranoid negli Stati Uniti, il secondo album in studio della band britannica, uscito già nel settembre del 1970 nel Regno Unito.
Si era appena aperto un nuovo decennio, quello che sancì la fine dell’epoca dei figli dei fiori: il 1970 è l’anno in cui si conclude l’era Beatles (di cui Ozzy Osbourne è grandissimo fan), i Pink Floyd pubblicano Atom Heart Mother, prendendo una direzione diversa rispetto ai dischi precedenti, l’ex Pink Floyd Syd Barrett rilascia il suo debut album, i Led Zeppelin si confermano padroni della scena hard rock con il loro Led Zeppelin III, Janis Joplin e Jimi Hendrix perdono la vita per overdose, mentre Jim Morrison lascia i The Doors per ritirarsi nella sua amata Parigi, definitivamente.
Negli anni ’70, lo schieramento filosofico-musicale era così distinto: l’Inghilterra si fece portabandiera del successo popolare dell’hard rock e del punk, l’America puntò sull’immagine shock del glam, mentre la Germania giocò un ruolo importante nello sviluppo della musica elettronica.
Ma torniamo ai Black Sabbath.
Avevano esordito sul mercato nel febbraio del 1970 con l’album omonimo, accolto in parte con disapprovazione per via dei temi sull’occulto, ma al tempo stesso destò una morbosa curiosità per via di quelle sonorità pesanti e oscure che differenziavano la band dai loro coevi Led Zeppelin e Deep Purple.
A distanza di sei mesi, o poco più, i Black Sabbath realizzano quello che, per molti, è considerato il loro capolavoro; tutt’oggi il maggior successo commerciale del gruppo, che si stima abbia venduto oltre 10 milioni di copie in tutto il mondo.
Il brano d’apertura, War Pigs, che inizialmente doveva dare il titolo all’album, è una canzone contro la guerra del Vietnam e contiene uno dei migliori assoli di chitarra di tutta la carriera di Tony Iommi.
Segue la titletrack, più veloce e breve del brano precedente, con un riff tanto semplice quanto travolgente, che diventerà un grande classico della band ed in seguito della carriera solista di Ozzy.
I brani contenuti nell’album sono solo otto, fra cui spicca, oltre ai sopracitati, la celeberrima Iron Man, dal riff robotico, che non ha nulla a che vedere con l’eroe dei fumetti Marvel.
Il disco procede attraverso le cadenze tribali, psichedeliche, narcotiche e spaziali di Planet Caravan (da menzionare la bella versione dei Pantera negli anni ’90) e l’atmosfera pesante di Electric Funeral, uno dei pezzi più acidi, pesanti e ipnotici dei Black Sabbath, un vero e proprio inno delirante al pedale wah-wah da parte di Tony Iommi.
Conclude il disco un altro classico della band di Birmingham, Fairies Wear Boots, con un’intro spettacolare e con un sound di radice prettamente blues.
Paranoid è una pietra miliare della musica rock, in alcuni casi definito addirittura (seppur con inverosimile dono della retroattività) come il “miglior disco metal” di sempre. Ovviamente, in quegli anni il termine “heavy metal” non esisteva, ma fu coniato successivamente, proprio per descrivere un determinato prodotto musicale.
Con due assi come Black Sabbath e Paranoid, quei quattro ragazzi della “ridente” Birmingham (ovviamente ironico) erano pronti a sfidare il mondo, gettando le basi per quelle che saranno le sonorità doom e metal degli anni a venire, diventando una delle band più rappresentative del genere.
Paranoid è, ancora oggi, un disco fondamentale e imprescindibile.
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