Pink Floyd: recensione di The Dark Side of The Moon

Pink Floyd

The Dark Side of The Moon

Capitol

1° marzo 1973

genere: rock progressive, psych

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Recensione a cura di Chiara Profili

1° marzo 1973: esce negli Stati Uniti The Dark Side of The Moon, l’ottavo album in studio dei Pink Floyd, edito per Capitol Records e registrato negli Abbey Road Studios di Londra. Verrà rilasciato il 23 dello stesso mese nel Regno Unito sotto Harvest Records.

Quando ci si trova davanti ad un’opera d’arte, spesso mancano le parole. Si rimane estasiati davanti alla Pietà di Michelangelo, alla Venere del Botticelli, alla Gioconda di Leonardo, così come si ascolta in religioso silenzio un disco sul quale è stato già detto tutto e che non necessita di ulteriori disamine.

The Dark Side of The Moon rasenta la perfezione e si avvicina al concetto di bellezza assoluta. Sì, perché credo che questo sia uno dei pochi casi in cui si debba mettere da parte la soggettività del gusto personale e ammettere di essere di fronte ad un lavoro sperimentale che difficilmente riusciremo a concepire come prodotto delle menti di esseri umani.

Mi piace pensare al prisma raffigurato sulla copertina dell’album come al nostro orecchio, che non appena viene raggiunto dal suono di questo disco, proietta nello spazio della nostra mente un arcobaleno di emozioni, sensazioni, brividi e pensieri, oltre a riflessioni introspettive sulla vecchiaia, la morte, la solitudine sociale, l’avidità del consumismo, la caducità e la polarizzazione nei rapporti interpersonali.

Un monumento. Un capolavoro concettuale e filosofico, sulla scia della svolta compositiva già intrapresa con Meddle. Uno dei dischi più belli di sempre, che ha radunato sia mondo della critica che appassionati della musica rock sotto il lato oscuro della Luna.

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