Portsmouth, 21 marzo 1950.
Nasce Roger Hodgson, musicista e cantante britannico, fondatore dei Supertramp, band che ha ispirato il nickname di alcuni avventurieri e parecchi profili social.
Nell’artwork dell’album Breakfast in America, la cameriera sostituisce la tavoletta di pietra della Statua della Libertà e la torcia con un menù e un bicchiere di fresco succo d’arancia, dandoci il benvenuto in una New York fatta da tazze e utensili da cucina.
Nel retro-copertina i cinque Supertramp appaiono in un bar statunitense di fronte alla propria colazione, ognuno di loro col giornale della propria città natale in mano.
Un vero e proprio best-seller della storia del rock.
Per questa copertina, i designer Mike Doud e Mick Haggerty vinsero un Grammy.
La ragazza li seguì anche in tour e ad ogni concerto veniva presentata al pubblico.
I Supertramp sono uno dei casi più strani della storia del rock. Nati in Inghilterra grazie ai fondi di un benefattore olandese, hanno vissuto per dieci anni nel semi-anonimato fino a quella Colazione in America che li avrebbe “sfamati” per sempre, proiettandoli nelle classifiche dei dischi più venduti di tutti i tempi.
Anche la loro identità, nell’immaginario collettivo, resta ad oggi piuttosto indefinita: un gruppo semi-progressive per i più vecchi, un nostalgico souvenir delle feste delle medie per la generazione di mezzo, una reliquia muffosa per i giovani inesperti.
Una band che quasi per caso è entrata nel museo delle glorie del rock e ne è uscita in punta di piedi.
La carriera dei Supertramp potrebbe essere presa e rimossa dalla storia del rock e non cambierebbe alcunché: pochissimi gli anelli di congiunzione con i gruppi che l’hanno preceduta, praticamente nessuno con i successori. Gli appassionati di musica, però, si perderebbero un vagone di melodie e di ritornelli immortali, di quelli che semplicemente fanno bene al cuore, all’umore.
Sarebbe comunque ingiusto relegare i Supertramp al rango di band “easy listening”: i loro dischi più ispirati, infatti, hanno svelato la fantasia e la versatilità di un insieme di grandi musicisti, in grado di passare con disinvoltura da ritornelli spensierati a complesse composizioni strumentali, una sorta di opere rock in miniatura, degne di band ben più celebrate di loro.
Con l’umiltà degli artisti di strada, di quei vagabondi cui si ispiravano fin nel nome, questi artigiani anglosassoni del rock hanno aperto nuove porte al pop-rock degli anni ’70, partorendo uno stile inconfondibile e inimitabile.
Tant’è che nessuno ha mai cercato di riprodurlo, contribuendo, col tempo, a renderlo un genere retrò e indissolubilmente legato a quell’epoca.
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