Black Sabbath: recensione di Paranoid

18 Settembre 1970.
Esce, nel Regno Unito, Paranoid, il secondo album in studio dei Black Sabbath.

Pietra miliare dell’heavy metal, sebbene la definizione heavy metal non esistesse all’epoca, e considerato da alcuni come il miglior disco metal di sempre. Sicuramente uno degli album più influenti degli anni ’70 e antesignano della dottrina doom e stoner.

Si è appena aperto un nuovo decennio: il 1970 è l’anno in cui si conclude l’era Beatles (di cui Ozzy Osbourne è un grandissimo fan), i Pink Floyd pubblicano Atom Heart Mother, prendendo una direzione diversa rispetto agli album precedenti, e i Led Zeppelin si confermano padroni della scena hard rock con il loro Led Zeppelin III.

Nello stesso giorno della pubblicazione di Paranoid, scompare Jimi Hendrix, e proprio in quegli anni stavano nascendo, in tutto il mondo, gruppi che avrebbero raccolto il testimone dell’hard rock portandolo verso strade diverse e sperimentali.

Torniamo ai Black Sabbath. Avevano esordito sul mercato nel febbraio dello stesso anno, con l’album omonimo, che aveva suscitato disapprovazione in una fetta di pubblico per via dei temi sull’occulto, ma al tempo stesso ne aveva attirata un’altra, che invece rimase affascinata da quelle tematiche e da quelle atmosfere pesanti ed oscure, che differenziavano la band dai loro coevi Zeppelin e Deep Purple.

Dunque, passano poco più di sei mesi e i Black Sabbath sfornano il loro capolavoro Paranoid, tuttora il maggior successo commerciale del gruppo, che si stima abbia venduto oltre 10 milioni di copie in tutto il mondo.

Il brano d’apertura, War Pigs, che inizialmente doveva dare il titolo all’album, è una canzone contro la guerra del Vietnam e contiene uno dei migliori assoli di chitarra di tutta la carriera di Tony Iommi.

Segue la title-track, più veloce e breve del brano precedente, con un riff tanto semplice quanto travolgente, che diventerà un grande classico della band ed in seguito della carriera solista di Ozzy Osbourne.

I brani contenuti nell’album sono solo otto, fra cui spicca, oltre ai sopracitati, la celeberrima Iron Man, dal riff robotico, che non ha nulla a che vedere con l’eroe dei fumetti Marvel.

Il disco procede attraverso le cadenze tribali ed il viaggio psichedelico, disteso e narcotico di Planet Caravan (da menzionare la bella versione dei Pantera negli anni ’90) e l’atmosfera pesante di Electric Funeral, uno dei pezzi più acidi e ipnotici dei Black Sabbath, un vero e proprio inno delirante al pedale wah-wah da parte di Tony Iommi.

Conclude il disco un altro classico della band di Birmingham, Fairies Wear Boots, con un’intro spettacolare e con un sound di radice prettamente blues.

Con questo capolavoro discografico, i quattro di Birmingham gettano le basi per quelle che saranno le sonorità doom e metal degli anni a venire, diventando una delle band più rappresentative del genere.

Paranoid è, ancora oggi, un disco fondamentale e imprescindibile.

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