Kiss: Lick It Up

18 settembre 1983.
I Kiss pubblicano l’album Lick It Up.

Cambiare o morire? Questo è il vero dilemma, quando sei ad un bivio e sei costretto a scegliere. Come cantava Fiorella Mannoia in una famosa canzone: “Come si cambia, per non morire, come si cambia, per ricominciare”.

Il successo, purtroppo, non è una costante fissa, bensì una variabile imprevedibile nel bene o nel male, e soprattutto non segue parametri di meritocrazia.

Tutto questo i Kiss lo stavano provando sulla loro pelle all’inizio degli anni ’80.

All’inizio degli Ottanta, a causa, o per merito, di MTV, la musica stava passando in secondo piano per far spazio all’immagine.

Un cambio epocale che non poteva non essere sfruttato da una band come i Kiss, che sin dall’inizio aveva puntato quasi tutto sull’immagine, sebbene il primordiale concetto visivo dei Kiss non fosse completamente in linea con quello del rock degli anni ’80.

Il potere commerciale di MTV stava condizionando il nuovo modo di fare musica. L’unica strada percorribile era quella di adeguarsi, per non scomparire nell’anonimato.

Per i Kiss era un’occasione da prendere al volo, uno di quei treni che passano una volta sola. L’unico cambiamento epocale era quello di togliersi finalmente la maschera.

E cambiamento fu: tutti e quattro i componenti dei Kiss senza trucco era l’unico modo per poter incollare nuovamente milioni di curiosi allo schermo, per richiamare l’attenzione mondiale.

Nel frattempo, i Kiss dovettero colmare il distacco da Ace Frehley e così ingaggiarono un nuovo chitarrista in pianta stabile, il virtuoso Vinnie Vincent.

L’album più importante della carriera di Vinnie Vincent, come compositore di musica e testi, fu proprio Lick It Up, durante la sua breve militanza nei Kiss.

Lick It Up è, dunque, il primo disco post-kabuki in cui i Kiss appaiono veramente a viso scoperto, cosa che, a rigor di logica, sarebbe dovuta accadere precedentemente con Unmasked.

La copertina del disco era semplice; loro quattro senza trucco e senza inganno, con acconciature alla Loredana Bertè e vestiti da zingari, a metà tra venditori di automobili usate e pusher di hashish.

Nonostante lo scetticismo iniziale di MTV, lo smascheramento fu l’ennesima e azzeccata trovata di marketing da parte del duo Stanley-Simmons per richiamare l’attenzione dei media, dopo un periodo di appannamento in cui la band si dava lentamente allontanando dai tanto amati riflettori.

Nemmeno a dirlo, Lick It Up ottiene il Disco d’Oro.

I Kiss, senza maschere e trucco, si tuffarono nel nuovo business discografico del glam metal, cavalcarono quel nuovo revival rock, si adeguarono alla corrente, diventando così una delle diecimila band glam metal del momento, rinunciando, inevitabilmente, al loro marchio, che invece li aveva resi un qualcosa di unico nel panorama rock.

L’impronta e lo stile di Vinnie, sostituto di Ace Frehley, erano differenti da Space Ace: impostazione piu heavy metal, da classico guitar hero, più appariscente, con tutine rosa shock modello Teletubbies, talmente tamarre da far impallidire i costumisti delle Spice Girls.

Insomma, sicuramente un ottimo elemento per integrare i già rinomati spettacoli circensi dal vivo dei Kiss.

L’impronta di Vinnie Vincent, travestito da guerriero egiziano, the Ankh Warrior, fu davvero pesante: praticamente Vinnie scrisse tutti i pezzi di Lick It Up, fatta eccezione per due brani, il ché portò ad un ridimensionamento della leadership di Paul Stanley e Gene Simmons.

Un ridimensionamento momentaneo e consapevole, che però aiutò i Kiss a mantenersi a galla e soprattutto, cosa non da poco, a fare cassa.

Ma i rapporti tra i leader dei Kiss e Vinnie Vincent non furono mai idilliaci, e peggiorano al punto che nel marzo del 1984 fu allontanato dalla band.

Vinnie Vincent, ormai licenziato dai Kiss, cercò però di sfruttare quella collaborazione con i Kiss, e la popolarità che ne conseguì, dando vita al suo progetto Vinnie Vincent Invasion: band heavy metal con la quale pubblicò solamente due album, Invasion nel 1986 e All Systems Go nel 1988, per poi sparire negli scaffali dell’anonimato della sovrapproduzione heavy metal di quel periodo storico, proprio quando la furia del thrash metal si stava abbattendo sul mondo del glam metal.

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