Soulfly: recensione di Chama

Soulfly

Chama

(Nuclear Blast Records)

24 ottobre 2025

genere: groove metal, nu metal, tribal metal, noise, djent

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Recensione a cura di Marco Calvarese

A Max Cavalera si può imputare – e prima o poi quasi tutti ci hanno provato – davvero tutto, ma non certo la pigrizia: Chama, il tredicesimo e nuovissimo LP dei Soulfly, è arrivato come un fulmine a ciel sereno, almeno per me, e ho riflettuto a lungo se e quando ascoltarlo.

Pur essendo la naturale derivazione di Roots e forse l’anima più intima di Max – o forse proprio per questo – la band non è mai riuscita a scavarsi una nicchia nel mio cuore, nonostante l’ampiezza e la varietà della proposta discografica. Però mi sono lasciato trascinare dall’entusiasmo per quello che, nei primi anni ’90, era il mio idolo assoluto e, ve lo dico di getto, non me ne sono affatto pentito.

Chama è un lavoro apparentemente semplice, peculiare anche per la sua brevità (poco più di mezz’ora di musica), ma in realtà molto articolato, a partire dagli ospiti di valore – da Amott a un certo Dino Cazares – che arricchiscono l’offerta musicale assicurandole un notevole valore aggiunto. Va poi detto che quella specie di diavolo della Tasmania di Max ha creato una filosofia musicale che, ai miei occhi, ruota intorno a un nucleo con movimento elicoidale, come un DNA tridimensionale, abbracciando e mescolando tra loro, in misura ogni volta differente, innumerevoli sottogeneri. Per questo le novità rispetto ai precedenti, in Chama, emergono in modo evidente.

L’album, infatti, si snoda lungo un fil rouge ben definito e allo stesso tempo variegato, la cui logica è la creazione di un vero e proprio muro sonoro in cui la sezione ritmica si muove compatta, spesso come un sol uomo, con una matrice groove che rappresenta l’anima del disco. Max e i suoi ospiti, intorno ad essa, disegnano trame melodiche spesso azzeccate che recano un marchio di fabbrica inconfondibile e sonorità di chiaro stampo noise-dub, le quali prendono il sopravvento sul tribalismo, sempre molto vivo ma che trova pieno sfogo solo nei due strumentali: l’opening Indigenous Inquisition e Soulfly XIII. Altrove, il tribal è relegato sullo sfondo, con strumenti caratteristici, ritmi e riff di chiara ispirazione amazzonica.

La produzione noise-oriented, definita ma tutt’altro che pulita, accompagna in modo impeccabile le scelte compositive della band, e lo spirito che aleggia sull’intera release mi ha riportato agli anni d’oro dei Sepultura molto più di quanto possiate immaginare, seppure alleggerito da certi eccessi sperimentali. Il risultato, più volte, è riuscito ad entusiasmarmi.

Non che io non mi renda conto di trovarmi davanti a un lavoro in studio decisamente nella media, e che l’ispirazione di Max stenti a riprendere piede. Si potrebbe inoltre imputare al disco un certo appiattimento sulle sonorità dei Nailbomb e un allontanamento dal nucleo sonoro intorno al quale sono nati ed esplosi i Soulfly.

È un fatto di gusti e di cuore: la mia anima nostalgica e le mie preferenze per un certo tipo di metal hanno fatto la differenza, facendomi godere forse più e meglio di altri la nuova proposta della band.

Storm The Gates è subito una trasposizione su pentagramma di tutto questo: un diretto in pieno volto dai forti richiami ai Sepultura, a metà tra Chaos A.D. e Roots, ascoltando il quale potrete senza rimpianti saltare a piè pari tutte le mie premesse. Un groove degno dei tempi migliori che si riversa per intero nella successiva Nihilist, di gran lunga il mio brano preferito, che finirà senza fatica nella mia playlist dell’anno: qui il riff iniziale è un chiaro omaggio alla scuola di Stoccolma e, dopo aver letto che la dedica a Petrov e ai suoi Entombed era voluta, il mio cuore si è riempito. Il tema, poi, con il contributo di Todd Jones, viene sapientemente destrutturato e ricomposto secondo le corde dei Soulfly, generando un maglio sonoro devastante: a mio avviso, un’opera cubista su pentagramma.

C’è poi l’episodio più “Soulfly” dell’intera opera, No Pain = No Power, in cui Roots aleggia come un convitato di pietra, addolcito dal contributo di Dino Cazares, e il caos controllato di Ghenna, vero capolavoro ritmico di Zyon, che confeziona – tra rallentamenti e accelerazioni – l’ennesima bordata dietro la nuca.

A questo punto, mi concedo un paio di riflessioni: violenza e varietà sono le coordinate di questo disco e, se un concentrato di emozioni forti dev’essere, ben venga la sua brevità!

E non ci saranno ripensamenti o delusioni, perché con Black Hole Scum il titolo fa pendant con il contenuto sonoro: un trionfo di palm-muting (ai limiti di un noise-djent) su ritmi melmosi che assumono davvero la gravità di un buco nero. Nostalgia canaglia con la trascinante Favela/Dystopia, crossover dai sontuosi breakdown che non avrebbe sfigurato come b-side di Chaos A.D., e con Always Was, Always Will Be…, in cui il riff della mitica Refuse/Resist viene ripreso e impacchettato in una patina tribal-minimalista: un tuffo al cuore e un trauma alla cervicale.

Si arriva così, dopo aver tirato il fiato con un po’ di atmosfere forestali, alla closer e title track, dove il cerchio aperto da Storm The Gates si chiude in un crogiolo di suoni che rappresenta la summa dell’intera opera dei Soulfly.

Ecco cosa succede quando della buona musica si concentra in un disco di mezz’ora: una deflagrazione di qualità e potenza, senza inutili riempitivi, che non concede quartiere, e quando finisce hai ancora fame.

A questo punto sta a voi la scelta: se siete fan di Primitive, in cerca di materiale innovativo oppure vi aspettate il genio creativo del Max di trent’anni fa, passate pure oltre. Ma se siete nostalgici di certi nineties, se amate il groove-nu bello rumoroso o, semplicemente, volete godervi un platter fresco, piacevole, impattante come un bulldozer, questo disco potrebbe fare per voi.

A me è piaciuto un sacco.

Tracklist:

1. Indigenous Inquisition 2. Storm The Gates 3. Nihilist 4. No Pain = No Power 5. Ghenna 6. Black Hole Scum 7. Favela/Dystopia 8. Always Was, Always Will Be… 9. Soulfly XIII 10. Chama

Line-up:

Max Cavalera – voce, chitarra
Igor Amadeus Cavalera – basso
Zyon Cavalera – batteria
Mike DeLeon – chitarra

Special guests:

Dino Cazares (Fear Factory)
Todd Jones (Nails)
Michael Amott (Arch Enemy)

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