I 10 Migliori Dischi Metal del 2025

Premessa doverosa, ancorché pleonastica: la top ten metal del 2025 è un gioco, un compendio di gusti soggettivi, perché il metal non è un pianeta ma una galassia. Ho cercato di spaziare il più possibile, pur sapendo che questa selezione riflette inevitabilmente le mie preferenze personali; critiche e suggerimenti sono quindi benvenuti, nel solco della nostra tradizione di schiettezza e passaparola.

Un paio di punti fermi, però, vanno fissati: gli album citati sono tutti di spessore. E il 2025 è stato un anno pazzesco per il thrash metal, declinato in mille forme; la sua prevalenza in classifica è dunque giustificata. Sono limitato? Ne sono consapevole, rassegnato e orgoglioso. Accogliete quindi questa lista come un semplice spunto di discussione, solido come acciaio e pronto a resistere alle cannonate.

Selezione a cura di Marco Calvarese

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10. Hazzerd – The 3rd Dimension

Questa emergente combo originaria di Calgary sembra la locandina perfetta per quanto sopra: riff tecnici, assoli stupendi, melodie e armonie di spessore, sapori forti, qualche chicca e tanta voglia di spaccare il mondo, come solo i giovani sanno fare. Un thrash metal, con forti richiami power-speed, diretto ma anche ricco di sfumature e preziosismi, che ha spazzato via, a mio modesto parere, pretenziosi comeback di varie band storiche. In rampa di lancio.

Hazzerd recensione di The 3rd Dimension

9. Violator – Unholy Retribution

Insisto, resto sul pezzo, perché un altro nome che ai più non dirà proprio nulla (ma in verità già ben affermato nel circuito brasiliano) ci ha regalato quanto di più brutale, feroce, trascinante e vicino all’archetipo del thrash metal si sia potuto ascoltare negli ultimi anni. Qui non c’è traccia di contaminazione, salvo qualche sconfinamento in territori ancor più estremi. Qui è un inferno senza tregua di mosh pit. Rivelazione del 2025.

Violator recensione di Unholy Retribution

8. Warbringer – Wrath and Ruin

Il successo di questo disco, come dell’intera storia della band, risiede nella capacità innata di amalgamare in modo coerente e dinamico il proprio personale tech-thrash con speed, groove, black, epic e tanto altro, regalando a ogni frame sfumature nuove e piegando le sensibilità di ciascun sottogenere alle esigenze della narrazione. Un album che sa sorprendere sempre e stancare mai. Una garanzia sulla scena.

Warbringer recensione di Wrath And Ruin

7. The Haunted – Songs Of Last Resort

Armato solo del mio proverbiale istinto controcorrente, sono tornato sugli eredi degli At The Gates con aspettative nulle e, invece, mi sono trovato di fronte a un disco violento, corposo, spigoloso, caustico, capace di non dimenticare le radici melodic death ma di racchiuderle in una corazza di fuoco e acciaio. Il risultato è un tiro pazzesco e senza remissione di peccato che ha corretto la traiettoria dei miei giudizi sull’intera offerta musicale dell’anno. The Haunted è il nome del groove nel 2025.

The Haunted recensione di Songs Of Last Resort

6. Guts – Nightmare Fuel

Torno sulle rivelazioni dell’anno, ma salgo in graduatoria e, dovessi badare solo alle mie personalissime reazioni emotive, sarei andato ben oltre: i finlandesi hanno dato alla luce un platter favoloso, mefistofelico, putrido, mescolando in modo sapiente un death vagamente stoccolmiano con un sound e dei ritmi che hanno quell’odore metallico di resistenze surriscaldate e di sabbia dello stoner più distorto. La misura, credetemi, è sconvolgente. The next big thing, a mani basse.

Guts recensione di Nightmare Fuel

5. Testament – Para Bellum

Qui si entra nel vivo ed è davvero dura classificare i prossimi album, perché potrebbero tutti, per motivi differenti, essere disco dell’anno. Il ritorno dei maestri del thrash è impreziosito dal contributo maggiore di Peterson nel songwriting e dall’esordio di Dovas dietro le pelli, con il risultato di creare una miscela sonora devastante, più variegata e groovy del solito, per quello che, a mio modesto parere, è il disco più innovativo e immediato dei Testament del XXI secolo. Instant classic.

Testament recensione di Para Bellum

4. Benediction – Ravage Of Empires

Ma voi conoscete il sapore agrodolce della nostalgia? Avete vissuto da deathster i favolosi anni Novanta? Riuscite a immaginare la bellezza di un death old school mixato e prodotto con la dovizia pulita di oggi? Se la risposta è sì a ciascuna di queste domande, questo disco non si discute: si ama. Perizia tecnica, ispirazione, capacità di abbracciare in ciascun brano ogni sfumatura del vecchio e sporco death metal, e vi assicuro che vi passa anche la fregola di andare in cerca di tecnicismi e sperimentazioni “post”. Di più, molto di più che l’album più bello: il mio preferito.

Benediction recensione di Ravage Of Empires

3. Orbit Culture – Death Above Life

Non ci giriamo intorno: gli Orbit Culture sono, insieme a pochi altri, i fenomeni (più o meno) metal dell’epoca attuale e non si possono ignorare. Per quanto ostici possano risultarmi certi cliché iper-moderni, devo andare oltre e capire se tanta fama sia meritata. La mia personale risposta è un sì convinto: Death Above Life è metallurgia a ciclo continuo, una colata di piombo fuso con il rombo delle presse in sottofondo. Un disco groove, industrial, metalcore e tanto altro, a cui anteporre tutti i “post” e gli “avant-garde” che potete come prefissi, tanto per capire che qui ci si proietta verso il futuro. Rumore e sostanza.

Orbit Culture recensione di Death Above Life

2. Paradise Lost – Ascension

Con il comeback dei sovrani del dark metal si esce dall’orbita del pianeta-gusto e si entra nello spazio profondo dell’indiscutibile. Qui non c’è questione soggettiva che tenga: è un top album e basta. Forse non un capolavoro, forse denota un paio di leggeri cali di tensione e attenzione, ma la qualità, l’ispirazione, il dramma trasposto in musica, la densità dell’atmosfera viaggiano su piani superiori alla media. Un ritorno che sa di malinconia e classe, come l’arredamento di una reggia ottocentesca. Indimenticabile.

Paradise Lost recensione di Ascension

1. Coroner – Dissonance Theory

Dopo oltre un trentennio di traversie, concerti e tentennamenti, i signori del thrash progressivo, band di culto di cui sentivo narrare meraviglie nei fumosi locali degli anni Novanta, tornano sulla scena sfornando quello che passerà agli annali come un capolavoro degno di questo appellativo. Dieci tracce senza sbavature, che mescolano con naturalezza generi quasi ossimorici attraverso una tecnica sopra le righe, senza perdere un’oncia del potenziale bellico del thrash metal. La mia conclusione è che questi fanno un po’ come gli pare, perché sono artisti di livello superiore: pur avendo fatto della complessità armonica il proprio marchio di fabbrica, mi hanno rapito dal primo ascolto e trascinato in un viaggio onirico dove le tre dimensioni perdono ogni significato, mi hanno mostrato le mille sfumature che corrono tra energia e massa einsteiniane e poi lasciato distrutto e senza fiato. Semplicemente, fuori scala.

Coroner recensione di Dissonance Theory

E vi avverto: se credete che la tregua natalizia sarà duratura, toglietevelo dalla testa, perché i nomi in rampa di lancio per l’anno a venire sono di quelli che fanno tremare i polsi. Horns up and stay tuned!

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