Violator: recensione di Unholy Retribution

Violator

Unholy Retribution

Kill Again Records

5 settembre 2025

genere: thrash metal, hardcore-thrash, death-thrash, blackened thrash metal

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Recensione a cura di Marco Calvarese

Prendete Dark Angel, Sodom, Slayer, aggiungete un pizzico di Exodus e frullate il tutto fino a ottenere una miscela omogenea. Guarnite con un top di Suicidal Angels e qualche pralina verde griffata Destruction, prima di impiattare con decorazione Possessed e aromi vari ancor più estremi. Che sapore credete che avrebbe una simile pietanza? Sì, esatto: il sapore metallico del sangue. Un fottuto massacro sonoro, senza fronzoli, senza raffinatezze: l’essenza stessa, la rabbia primordiale del thrash metal.

I Violator, con oltre un ventennio di tribolazioni e rancore dal Brasile, ci offrono un’abbuffata carnivora con il loro terzo long play, Unholy Retribution. Se non sono queste le vibrazioni che cercate nella musica, lasciate perdere. Se, invece, il thrash vi scorre nelle vene finché non trova un varco per vomitare fuori tutto il marcio, questo è un disco semplicemente imperdibile, che finalmente sta ricevendo i meritati riscontri per una combo che, finora, ha avuto molto meno di quanto abbia dato e meritato dalla scena.

Nessuna sperimentazione, nessuna novità, registrazione sporca, voce urlata: emozione allo stato di natura, tanta cattiveria e voglia di incanalarla in un robusto mosh pit. Tali presupposti rappresentano, per me, un invito a nozze: capirete bene che mi ci sono tuffato manco fosse una piscina piena di birra fresca, e ho trangugiato tutto ciò che potevo finché non l’ho vuotata.
Premesse fondamentali: l’artwork è discreto, forse anche di più, mentre la produzione è senza troppe pretese, ma, anche qui, rispecchia in modo più che fedele lo spirito che sgorgherà dalle vostre cuffie appena premuto il tasto play.

Non troverete facilmente in giro tanta inaudita ferocia declinata attraverso le sette note, se non viaggiando nel tempo invece che nello spazio, tornando a ritroso fino a certi lavori dei Demolition Hammer, dei Vio-lence o dei Sepultura pre-Arise. E nulla di tutto questo è un difetto: se proprio voleste trovarne uno, lo cercherei nei limiti tecnici e di estensione del cantato, oppure nella sottoesposizione delle casse. Ma vi assicuro che, dopo qualche minuto di ascolto, ci avrete fatto l’abitudine, vi sarete concentrati solo sulla musica e vi sentirete letteralmente tarantolati.

Preparatevi da subito, perché i Violator partono in quarta con un titolo che non lascia adito a dubbi su ciò che dobbiamo aspettarci: Hung The Merchants of Illusion è una raffica di proiettili camuffata da riff e blast beat che ti investe in pieno volto senza concedere quartiere e, quando pensi di tirare un po’ il fiato e i ritmi rallentano, ecco che la chitarra tira fuori una veste “scary” che dilania il poco che di te sia rimasto integro. Caratteristiche che, mutatis mutandis, possiamo tranquillamente traslare anche nella presentazione di Cult Of Death, brano dalla matrice più nitidamente slayeriana per via della sua furia hardcore.

Attenzione, perché la coppia di tracce a seguire va maneggiata con estrema cautela: Persecution Personality e Destroy The Altar sono quanto di più brutale, trascinante e vicino all’archetipo del thrash metal abbiate potuto ascoltare negli ultimi anni. Non c’è alcuna pausa tra un pezzo e l’altro e, mentre la prima aggredisce da subito con un riff così acido e crudele che sembra scappato dalle mani di un Gary Holt sotto LSD, per poi tramutarsi in un tremolo sorretto da percussioni vagamente à la Igor Cavalera, la seconda rallenta i ritmi, ma solo per scandire ulteriormente la propria malvagità, culminando in un refrain che rimanda direttamente ai Death.

Una prima parte del disco semplicemente devastante, senza mezzi termini, da cui esco tramortito perfino tra le mura del mio salotto. Avviato il B-side del platter, la prima differenza che noto è che compare uno stacco tra un brano e l’altro, come a voler incorniciare un elemento più riflessivo, una furia più contenuta o meglio incanalata. Quasi a conferma di questa mia sensazione, The Evil Order si apre in modo sabbathiano, per poi dare sfogo a un nuovo trionfo di riff tremolati alternati con altri in cui sembra di vedere nitidamente, chiudendo gli occhi, la barba e le catene di Kerry King.

Chapel Of The Sick (singolo che ha preceduto la pubblicazione) mi introduce a un finale da brividi: a mio giudizio, è forse l’episodio meglio armonizzato, con forte sentore di Suicidal Angels, sorretto da riffoni pazzeschi, una progressione riuscitissima e, ciliegina sulla torta, un breakdown da distorsione cervicale. Tra le pieghe sdrucite del violento pogo, ormai prossimo alla conclusione ma che non concede respiro, emergono perizia tecnica e fantasia a profusione: Rot In Hell ne dà prova fondendo un riff “rubato” agli Obituary con l’antica furia slayeriana, attraverso cambi di ritmo e controtempi da leccarsi i baffi (e le ferite).

Dulcis in fundo (si fa per dire), Vengeance Storm apre con un temporale che lascia presagire una riedizione di Reign In Blood, ma degenera poi in un susseguirsi di riff spaccaossa e altri tremolati di sapore black: un tocco finale che conferisce un retrogusto maligno a una pietanza già di per sé infernale.

Apritevi all’ondata di malvagità che vi arriva dal Brasile: i Violator bussano alle porte del vostro equilibrio mentale e, credetemi, non potrete più rinunciarvi.

Tracklist:

1. Hang The Merchants Of Illusion 2. Cult Of Death 3. Persecution Personality 4. Destroy The Altar 5. The Evil Order 6. Chapel Of The Sick 7. Rot in Hell 8. Vengeance Storm

Line-up:

Pedro “Poney Ret” Arcanjo – voce e basso
Pedro Augusto Diaz – chitarra
Márcio Cambito – chitarra
David Araya – batteria

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