Avete presente quando conoscete qualcuno che non avete mai visto prima, scoprite che avete gli stessi gusti musicali ed iniziate a parlare per ore, senza riuscire a fermarvi?
È quello che ci è successo con Briegel, all’anagrafe Andrea Filipazzi, bassista dei Ritmo Tribale, con il quale abbiamo fatto una bellissima chiacchierata, che sintetizzeremo, per quanto possibile, in questo post.
FOTOGRAFIE ROCK: Ciao Andrea. Andrea o Briegel?
BRIEGEL: Come volete, nell’ambiente musicale mi chiamano tutti Briegel, ma per chi è esterno al circuito sono Andrea.
FR: Com’è nato questo soprannome?
B: Briegel era un calciatore tedesco, giocavo a calcio da ragazzo ed un mio amico mi diede questo soprannome, per via della somiglianza fisica. Mi è rimasto affibbiato perché quando entrai nei Ritmo Tribale, nell’88, c’era già un altro Andrea, Scaglia. A quel punto è diventato proprio un nome d’arte al punto che anche sui dischi mi firmo come Briegel.
FR: Effettivamente, guardando le tue foto da giovane, si nota la somiglianza col calciatore.
B: Io ero alto e magro, lui era alto, ma enorme. Era una bestia.
FR: Parliamo di musica e di anni ‘90. Come sono stati, per te?
B: Gli anni ‘90 erano sicuramente meglio di adesso, perché ero più giovane! Scherzi a parte, sono stati dei begli anni e adesso, dopo oltre due decenni, si stanno riscoprendo le band di quel periodo. Era un’epoca di grande fermento. Soprattutto per i gruppi, come noi, che arrivavano dalle fine degli anni ‘80, c’era stata finalmente la possibilità di passare dai garage nei quali suonavamo, all’avere dei contratti discografici importanti, con un budget per incidere i dischi, con un supporto in fase di produzione, da parte di case discografiche che magari non conoscevano bene le realtà di gruppi come il nostro, ma con le quali potevamo lavorare in maniera professionale e professionistica. Noi avevamo un contratto con la PolyGram, che era un’etichetta importante, ciò ci permise non solo di incidere dei dischi, ma di poter andare in giro a suonare in veri e propri tour.
FR: Sicuramente gruppi come voi, i Negrita, i Casino Royale, riuscirono ad ottenere visibilità.
B: Una cosa impensabile per band del nostro genere, fino a qualche anno prima. Ci ritrovammo di punto in bianco a passare dai piccoli locali nei quali ci esibivamo amatorialmente, ad andare in tour.
FR: Ad oggi, il mondo della musica è cambiato ulteriormente.
B: Oggi il panorama musicale è totalmente cambiato e chi ha successo ora sono ragazzi davvero molto giovani. Nonostante la crisi dell’industria musicale, ci sono artisti poco più che ventenni che vivono di musica, facendo numeri interessanti di streaming su Spotify, Youtube e di pubblico ai concerti. Negli anni ‘90 era molto difficile per ragazzi di quell’età vivere di musica.
Quando la musica andò in crisi a livello di vendite, i discografici iniziarono la loro battaglia contro la pirateria. Poi arrivò YouTube e chi riuscì a capire, non certo i discografici, che il web era il nuovo canale attraverso il quale veniva utilizzata la musica e, quindi, arrivavano gli introiti, si é arricchito.
Adesso, per certi versi, è più facile arrivare alla musica, le star ventenni di oggi, sono ragazzini che hanno iniziato a creare musica sin dalle scuole medie.
FR: È diventato anche più rapido il processo di raggiungimento della fama, per chi ce la fa, ovviamente.
B: Certo, quando entrai nei Ritmo Tribale e facemmo il primo disco, nell’88, ero giovane, avevo 22 anni, ma Edda e Rioda ne avevano già 25. Adesso, ci sono artisti molto giovani già famosi. Nessuno se lo sarebbe mai immaginato.
FR: Oggi, grazie a internet, la società è iper connessa ed è più facile ottenere visibilità.
B: Sì, però c’è anche più concorrenza.
FR: Ma non è tutto un po’ omologato? Tutti possono fare musica e quindi il livello qualitativo precipita.
B: Sono parzialmente d’accordo. È vero che è più facile fare musica, anche perché c’è la figura del ‘beatmaker’, ovvero colui che crea una base sulla quale poi canta un artista, un rapper, che la maggior parte delle volte non solo non sa leggere la musica, ma non sa nemmeno suonare uno strumento, ma d’altronde, quando si parla di arte è tutto relativo, se pensiamo, ad esempio, a chi tagliava le tele. Inoltre, la musica, come la storia, si ripete, perciò ci troviamo oggi a vedere questi rapper che riscoprono il valore delle band e spesso cantano con un gruppo che li accompagna.
FR: Lo ha fatto anche Eminem nel suo ultimo tour…
B: Esatto. Comunque, tornando al discorso della visibilità, essendoci così tanta concorrenza, è più difficile emergere. Bisogna anche essere bravi a saper lavorare su YouTube o su Spotify. Se si guardano gli ascolti su Spotify di un gruppo come i Beatles, si noterà che non sono così alti, nonostante il mondo intero li ascolti. Ma il fan dei Beatles preferisce usare altre piattaforme, come il vinile o il cd. I ragazzi di vent’anni, che usano principalmente questi sevizi di streaming, ascoltano quello che viene loro proposto nel presente, quello che va di moda in quel momento, così come io ascoltavo da ragazzino i Sex Pistols. Poi, crescendo, si vanno a riscoprire anche le cose del passato, e i Beatles, ad un certo punto, li ho scoperti anch’io.
FR: Tu sei un metallaro, ce lo confermi? Perché in un brano dell’album che hai fatto con i No Guru, ‘Cammino Con Le Mani’, ci è sembrato di riconoscere il riff di ‘Sweet Leaf’ dei Black Sabbath.
B: Potrebbe somigliare, ma in questo caso è una coincidenza. A volte quando componi, capita di citare volutamente qualcosa, ad esempio, in ‘Mantra’, il riff iniziale del brano ‘Antimateria’, cita un pezzo del primo album dei Killing Joke. Tra l’altro, nessun giornalista se n’è mai accorto…
FR: Il background che influenza una band è un’aspetto importante nella sua formazione.
B: Tra di noi dei Ritmo Tribale c’era chi preferiva un genere ad un altro, ma comunque c’erano dei gruppi che ci legavano. Io ero un metallaro, però i gruppi punk e post punk li ascoltavo, così come li ascoltavano Andrea Scaglia e Alex Marcheschi. Mentre Edda era più amante del cantautorato italiano, oppure del prog rock italiano, tipo gli Area. Fabrizio Rioda, invece, non era un grandissimo ascoltatore di musica, amava più suonarla.
FR: Nella specifico, cosa ascolti?
B: Io ascolto tantissima musica, sempre, durante tutto il giorno. Per quanto riguarda il metal amo molto i Metallica, gli Anthrax, gli Iron Maiden. Ma mi capita anche di ascoltare Jeff Buckley. Spazio dagli Alice in Chains, ai Mother Love Bone, Pearl Jam…
FR: Deduciamo che ami il grunge!
B: Il grunge l’ho amato alla follia e lo amo ancora.
FR: L’esplosione commerciale del grunge ha giocato anche a favore dei gruppi che facevano musica rock alternativa, come voi.
B: Credo di sì, ascoltavamo molto quel tipo di musica e ci ha anche influenzati. Però sono sempre rimasto un metallaro, dai Def Leppard, ai Saxon, agli Slayer… crescendo sono anche andato a riscoprire i gruppi storici dell’hard rock come i Led Zeppelin e i Deep Purple. Comunque, quando arrivò il grunge, i metallari più integralisti lo snobbarono. Invece, per me, il grunge era un’evoluzione del metal. Era l’heavy metal di quel periodo.
FR: I Soundgarden degli inizi erano molto metal.
B: Ma certo. Anche perché le band che fino a quel momento avevano fatto un certo tipo di heavy metal, stavano cambiando direzione, vedi i Def Leppard, che erano diventati più pop da ‘Hysteria’ in poi, forse già dall’album precedente, ‘Pyromania’. Tra l’altro i Def Leppard furono prodotti da Mutt Lange, che aveva prodotto anche ‘Higway to Hell’ degli AC/DC.
FR: Anche ‘Back in Black’.
B: Sì, entrambi bei dischi, ma il mio preferito degli AC/DC è ‘Higway to Hell’.
FR: Quindi preferisci Bon Scott…
B: Brian Johnson è un grande, gli voglio bene. Però Bon Scott era Bon Scott.
FR: C’è stato un artista che ti ha spinto a suonare il basso? Perché proprio il basso come strumento?
B: Ho scelto il basso perché lo suonavano Lemmy, Gene Simmons, Steve Harris e Sid Vicious.
FR: Sid Vicious è un parolone dir che suonasse il basso!
B: Diciamo più Glen Matlock allora. Comunque i primi pezzi che suonavo erano quelli dei Sex Pistols… anche se il primo brano che ho imparato in assoluto, è stato ‘Blitzkrieg Bop’ dei Ramones. Comunque, ci tengo a dirlo, non sono un chitarrista falliti, che si é buttato sul basso. Ho proprio iniziato da questo strumento e la chitarra la suono di merda…
FR: Comunque Kiss, Motörhead, Iron Maiden, bei riferimenti.
B: I Kiss li amo alla follia, li ho visti più volte in concerto. Gli Iron Maiden li seguo fin dagli inizi, adoravo Paul Di’Anno. Purtroppo come persona si è rivelato quello che è, mentre Bruce Dickinson, a detta anche di alcuni miei amici che ci hanno lavorato insieme, è un grande professionista e una bravissima persona. Anche i Maiden li ho visti una marea volte in concerto, sia con Di’Anno che con Bruce Dickinson, proprio agli inizi della sua carriera con la band.
FR: Quindi sei uno che va molto spesso ai concerti.
B: Sì, perché mi diverto. Ogni volta che posso ci vado, vedo quello che mi piace e che mi fa divertire.
FR: Tornando a noi e alla storia della tua carriera con i Ritmo Tribale. Cos’è successo alla fine degli anni ‘90, con l’abbandono di Edda?
B: Edda ci ha lasciati nel momento peggiore in cui poteva lasciarci. Venivamo dal successo di ‘Mantra’ e c’erano grandi aspettative anche da parte della casa discografica per il disco che sarebbe venuto dopo, ovvero ‘Psycorsonica’, che, per motivi legati proprio ad Edda e ai suoi problemi, avevamo fatto un po’ di corsa. La PolyGram ci aveva proposto un produttore straniero, che sarebbe potuto essere Jack Endino [produttore di ‘Bleach’ dei Nirvana ndr] poi, però, ci siamo resi conto che Edda aveva il problema della tossicodipendenza e quindi, per cercare di tenerlo impegnato, siamo tornati velocemente in studio ed il disco ce lo siamo prodotto da soli. È venuto fuori un album diverso da ‘Mantra’, più maturo. Una volta ultimati i lavori di registrazione e produzione ci siamo accorti che Edda era ormai irrecuperabile.
FR: Nel momento in cui sareste dovuti andare in giro a promuovere il disco vi siete ritrovati senza frontman.
B: Sì, eravamo nel pieno della promozione, avevamo già sei o sette date fissate per il Febbraio del ‘96, che abbiamo comunque fatto con Edda, ma si vedeva che lui ‘non ci stava più dentro’, come si dice a Milano. Perciò quando lui è andato via ci siamo trovati in una situazione difficile. Andrea Scaglia voleva cambiare il nome della band, noi non eravamo d’accordo. Io proposi una cantante donna, si sarebbe avvicinata alle sonorità di Edda, ma avrebbe dato comunque un sapore diverso al gruppo.
FR: Mentre parliamo sta andando in onda il Festival di Sanremo, ti stiamo impedendo di guardarlo?
B: No, Sanremo non lo guardo. Ho guardato solo il video del pezzo dei Negrita su YouTube, perché sono miei amici.
FR: E come la vedi la partecipazione di queste band al festival, come anche gli Zen Circus?
B: Ormai sono tanti anni che succede, hanno iniziato i Subsonica, gli stessi Negrita, i Bluvertigo… credo che se uno è coerente con se stesso e fa le cose con un certo spirito, possa andare a suonare dappertutto. Non è facile. I Subsonica possono piacere o no, ma sono uno di quei gruppi che può suonare a Sanremo, come in un centro sociale. Non è da tutti.
FR: Anche gli Afterhours andarono a Sanremo e Manuel Agnelli addirittura ha fatto il giudice a X Factor.
B: Per me ha fatto bene, se lo chiedessero a me lo farei anch’io, mi divertirei un sacco. Io ho avuto la fortuna di aver smesso di suonare da professionista quando ero ancora in tempo per avviare una carriera diversa da quella musicale.
FR: Come riesci, ora che siete tornati a suonare, a gestire le due attività?
B: Il mio lavoro è quello di avvocato: sì, ci siamo rimessi a suonare, ma tutti abbiamo una famiglia, i figli piccoli, un altro lavoro. Perciò il tempo che dedichiamo alla band è poco, rispetto a prima. È tutto rallentato, altrimenti avremmo già fatto uscire un nuovo disco l’anno scorso. Abbiamo diverse priorità adesso, ma suonare è sempre la mia passione. Tant’è che qui nel mio studio ho appeso alle pareti i Beatles, i Ramones, Robert Plant… quando entra un cliente, non pensa di trovarsi in uno studio legale.
FR: Comunque, a breve, vi vedremo in tour.
B: Sì, suoneremo in Aprile a Roma e a Milano, per cominciare. Probabilmente saremo in giro anche quest’estate e dovremmo anche andare in studio a registrare qualcosa… comunque, a suonare dal vivo, ci divertiamo sempre.
FR: Abbiamo ascoltato i vostri due nuovi inediti: ‘La Rivoluzione del Giorno Prima’ e ‘Le Cose Succedono’. Di cosa parlano questi brani?
B: Dovremmo chiederlo a Scaglia, i testi li scrive lui. Comunque ‘La Rivoluzione del Giorno Prima’, secondo me, ha un testo molto bello. Andrea Scaglia scriveva già i testi anche ai tempi di Edda, di fatto avevamo due cantanti, però Edda cantava di più. Mi ricordo che all’epoca avevamo un manager che non capiva un cazzo, e che ci diceva che nelle band ci dovesse essere un cantante solo. Un’assurdità, se pensiamo a gruppi come i Kiss, che hanno quattro cantanti, o ai Beatles. Comunque, tornando all’uscita di Edda dal gruppo, la PolyGram ci aveva addirittura proposto un concorso per trovare un nuovo cantante, una cosa tristissima. Ad ogni modo, la voce di Edda era particolare, insostituibile, quindi l’unica strada, secondo noi, per rimpiazzarlo e andare avanti cercando di evitare il confronto con lui era arruolare una donna, oppure non sostituirlo affatto. Così optammo per la seconda ipotesi, che non incontrò il favore della casa discografica e cambiammo anche manager. Arrivammo, nel ‘99, a produrre ‘Bahamas’ con fatica, fu un parto molto difficile e posso considerarlo quasi un disco solista di Scaglia nel senso che ci ha spinto in una direzione molto diversa e lontana da quella classica dei Ritmo.
FR: Per distaccarsi il più possibile da un eventuale confronto con Edda.
B: Può essere. All’epoca, comunque, nessuno si sarebbe aspettato un disco così dai Ritmo Tribale.
FR: È, comunque, un gran bel disco.
B: Lo è, assolutamente. Però, in quel momento storico, ha decretato la nostra fine.
FR: Il solito discorso dei fan di vecchia data che sono poco inclini al cambiamento.
B: Beh, sì, a maggior ragione quando il cambiamento è così radicale.
FR: Per assurdo, però, ‘Bahamas’ ha sonorità più vicine a quelle di moda oggi, rimane un disco molto moderno, pur avendo vent’anni.
B: Sì, ‘Bahamas’ e anche ‘Psycorsonica’, sono i dischi che, nel tempo, hanno tenuto meglio. ‘Mantra’ si sente che è più datato, più dentro agli anni ‘90, dai quali non esce. Comunque ‘Bahamas’ doveva essere una ripartenza ed invece è stato uno stop, ormai era troppo tardi.
FR: Non è mai troppo tardi per ripartire, lo state facendo proprio ora. Tornando, appunto, al presente: le maschere del video de ‘La Rivoluzione del Giorno Prima’, che cosa rappresentano?
B: ‘La Rivoluzione del Giorno Prima’ è quella che non farai mai, le maschere sono il nostro alter ego, quello che vuole fare la rivoluzione, sono le nostre rogne, di cui ti vorresti liberare, ma che ti seguono di continuo.
FR: Sia la canzone che il video ci sono piaciuti molto.
B: Scaglia con gli anni ha acquisito maggiore consapevolezza delle sue capacità e sta scrivendo delle belle cose. Non sono mai banali i suoi testi.
FR: I vostri fan avranno sicuramente apprezzato il vostro ritorno sulle scene.
B: Abbiamo dei fan davvero affezionati, siamo considerati una band di culto, quindi quelli che ci seguono sono pochi, ma ci vogliono veramente bene. Alcuni hanno trasmesso questa passione anche ai loro figli. Per me è un onore far parte di un gruppo che è considerato di culto.
FR: Come ci ha detto anche Federico Fiumani, per chi fa questo mestiere principalmente per passione e non per soldi, è la soddisfazione più grande.
B: Sicuramente. Non ho rancore per quello che è stato o non è stato con i Ritmo, sono contento di tutto quello che abbiamo fatto. Col senno di poi ho fatto un’analisi sul perché certe cose le abbiamo ottenute ed altre no, forse siamo stati un gruppo troppo mainstream per essere considerato indie, ma troppo alternativo per la massa. Ma è andata bene così.
FR: Anche secondo noi. Grazie mille Andrea, in bocca al lupo per tutto.
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