The Haunted
Songs Of Last Resort
Century Media Records
30 maggio 2025
genere: groove-death metal, groove-thrash, old school death metal, melodic death metal
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Recensione a cura di Marco Calvarese
Sweden über alles! Ecco la mia sintesi di questa prima metà dell’anno musicale, a maggior ragione dopo aver ascoltato l’ennesimo pezzo da novanta dei The Haunted. Per i meno informati, stiamo parlando di una costola degli At the Gates e questo significa aver contribuito a scavare a mani nude solchi nella storia del death metal.
Bando, dunque, alle ciance: ci togliamo innanzitutto il cappello, poi ci godiamo il loro ascolto, ci prendiamo tutto il tempo che occorre, e solo dopo se ne parla in maniera avveduta. Questo è stato il mio percorso di fronte a Songs Of Last Resort, decimo album di questi purosangue svedesi, che ho voluto lasciar decantare per un mese e mezzo, prima di esprimermi: sembrava troppo bello per essere vero.
Tutto il resto, compresi i soliti commenti di chi li ritiene ripetitivi o meno ispirati degli esordi (c’è sempre quello bravo che lo dice, non appena una grande band pubblica qualcosa di nuovo, e io divento idrofobo!), lascia il tempo che trova: i The Haunted, piaccia o meno, questo sono e questo fanno. Per cui non aspettatevi una rivoluzione nel sound (tanto, se anche arrivasse, le critiche arriverebbero lo stesso), ma solo la consueta ferocia, la solita onda d’urto che vi sbatte nella stanza accanto e vi tramortisce mentre le gambe non riescono a stare ferme.
Se non è quel che cercate, cambiate comodamente recensione, disco nel lettore e sfilatevi la maglietta da metallari, indossate pure altro. Diversamente, se sentite il bisogno proprio di musica di alta qualità, capace di farvi vibrare le viscere e tirar fuori tutto il marcio che avete dovuto ingoiare a scuola, al lavoro, a casa e ovunque, questa è roba buona che fa per voi.
Doverosa premessa per dirvi che a me questo disco ha trasmesso emozioni forti come non accadeva da mesi e si è collocato sul podio della stagione senza chiedere permesso, con la stessa feroce prepotenza con la quale sprizza groove da tutti i pori, con la stessa violenza delle acque quando sfondano una diga, fin dalle prime note: la opening track Warhead ti travolge senza compromessi sprigionando un’energia che basterebbe a sé stessa e invece è solo una premessa, con un assolo squisitamente thrash che ci dà uno dei canovacci sui quali sarà improntata l’intera opera.
Tramortito, lascio partire In Fire Reborn senza sapere cosa aspettarmi, ma è il caso di dire che la musica non cambia: violenza diretta, sostenuta da un Marco Aro in piena forma dietro il microfono, ma con una commistione di old school e Swedish death perfettamente amalgamati su un tappeto groove. Sono ancora senza fiato, quando Death To The Crown mi spara in faccia un’apertura à la Morbid Angel seguita da un trionfo di chitarre, tra tremolo e palm muting, fino a sfociare in un breakdown spaccaossa.
Devo arrivare alla stupenda To Bleed Out per sentire le profonde radici svedesi della band, laddove la melodia mi fa volare fino a Göteborg e richiama, immancabilmente, gli At the Gates, ma mescolati con richiami Benediction e un bridge che mi ha fatto gridare “In Flames” fino alle orecchie dei vicini di casa. Chiusura riservata ad effetti discreti, ma capaci di conferire profondità e malinconia a una piece da regalare agli annali.
Arrivato a questo punto ho quasi paura ad andare avanti, temendo i soliti filler a metà tracklist, filler che, invece, non arriveranno mai. Me ne convinco fin da Unbound, intrigante alternanza di “stop and go” e melodie scandinave con la quale questi incazzatissimi artisti prendono la rincorsa per lanciarsi poi in una serie di episodi uno più travolgente dell’altro, dove affiorano reminiscenze di Machine Head (Hell Is Wasted On The Dead), Lamb Of God (l’irresistibile Through The Fire), persino Sepultura, sapientemente mescolate con un aroma griffato At the Gates e usato con parsimonia sì, ma che aleggia, come un convitato di pietra, su tutto l’album.
Esco dal breakdown di Collateral Carnage letteralmente esausto, entusiasta, devastato da un trittico pazzesco, conscio che il mio giudizio sull’intera offerta musicale del 2025 non potrà essere più lo stesso di prima. L’arpeggio che apre il breve interludio Blood Clothes mi dà solo l’illusione di riprendere fiato, perché subito Salvation Recalled e, a seguire, l’episodio rock-doom Labyrinth Of Lies servono a ricordarmi che, dopo i LIK e più di loro (non fosse altro per ragioni anagrafiche), i The Haunted hanno in mano la bandiera svedese e il compito di legare fra loro le due scuole di pensiero principali del paese: quella melodica di Göteborg e quella granitica di Stoccolma.
I ritmi doverosamente rallentano, ben lungi dal minare il tasso di crudeltà contenuto nella proposta della band, che anzi emerge fino all’ultimo riff di Letters Of Last Resort, closing track che ha più il sapore di un lungo outro, tetro e pesante come un buco nero. Un album semplicemente senza via d’uscita, senza tregua, senza remissione di peccato, che non può mancare nella vostra putrida collezione.
Tracklist:
1 Warhead 2. In Fire Reborn 3. Death to The Crown 4. To Bleed Out 5. Unbound 6. Hell is Wasted On The Dead
Through The Fire.7. Collateral Carnage 8. Blood Clots 9. Salvation Recalled 10. Labyrinth Of Lies 11. Letters Of Last Resort
Line-up:
Marco Aro – voce; Patrik Jensen – chitarra; Ola England – chitarra; Jonas Björler – basso; Adrian Erlandsson – batteria
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