Sam Fender al London Stadium: il live report

82.500: tanti eravamo per il concerto più grande mai tenuto al London Stadium, nel Parco Olimpico. E anche il più importante (finora) nella carriera di Sam Fender, il rocker nato a North Shields.

L’attesa cresceva durante il pomeriggio, alimentata dalle storie social di questo talento e promessa della musica britannica, tra ricordi d’infanzia e l’incredulità di essere arrivato così in alto, mentre un formicaio di persone affollava la metro attorno a Stratford.

Io lo avevo lasciato a Ferrara, quando Sam Fender aprì per Bruce Springsteen nel 2023, e già allora lo si considerava un suo degno erede. Poi, una pausa per ricalibrare salute mentale e gli effetti di un successo travolgente, fino all’annuncio sibillino dello scorso agosto: l’album People Watching, seguito da un tour mondiale.

L’affetto del pubblico è stato immediato: i biglietti sono andati esauriti in poche ore, mentre la critica britannica acclamava non solo la musica, ma soprattutto i testi di questo ragazzo dal volto pulito e dallo sguardo acuto.

Proprio i testi diventano un elemento centrale di questo nuovo lavoro, che spalanca a Sam Fender le porte per essere considerato tra i migliori cantautori d’Oltremanica – forse il migliore. Vediamo qualche perla del nuovo disco più da vicino.

Avevamo già parlato di People Watching al momento dell’uscita, con immagini che richiamano il realismo di Hopper, caro a molti musicisti sensibili ai mutamenti sociali. Ma al suo interno scorre anche un filo conduttore più sottile, che solo i più attenti coglieranno: è il concetto di Lie, riproposto in più brani e con sfumature diverse, dando vita a un calembour ricco di sensazioni e messo in contrapposizione con il suo opposto, True.

Un esempio? Il secondo pezzo della release si intitola Nostalgia’s Lie – la menzogna della nostalgia. La nostalgia intesa come quei dolci ricordi che la malinconia genera, edulcorando una realtà che in fondo ci ha ferito. Il nostro cervello la trasfigura in qualcosa che ci faceva sentire al sicuro: “With all of nostalgia’s lies, it emptied my heart… Was it ever what I thought it truly was?”.

Da qui a Wild Long Lie il passo è breve – ma è proprio qui che emerge il genio di Sam Fender. In questo caso, “lie” è intesa come lo stare distesi, in posizione orizzontale. Qui, stesi sul pavimento, nella solitudine di una stanza, per sniffare droga: il tema centrale del brano, che affronta le dipendenze come via di fuga dal dolore. Un “lungo, selvaggio coricarsi”, che nel gioco di parole ingloba anche l’altro significato: la menzogna.

La falsa illusione che l’effetto della droga crea prima di svanire, svelando una realtà ancora più atroce. Un intreccio di significati perfetto, che sintetizza la trappola della dipendenza: la menzogna che ti schiaccia a terra – un pavimento di cucina o di bagno – con il suo inganno momentaneo. L’immagine è fredda, cruda, solitaria ma potentissima.

Non c’è giudizio. Non c’è soluzione, se non un esplicito riferimento alle politiche di Boris Johnson, a suo avviso inefficaci, che però suona anche come una richiesta implicita di aiuto concreto e una più approfondita comprensione del problema. Resta solo la descrizione nuda e sincera di un dolore ingestibile, e il bisogno di cambiare città, aria, contesto, per provare a uscirne da soli.

L’intero disco è costellato di gemme di questo calibro, e per questo non va soltanto ascoltato, ma anche letto.

I testi stanno conquistando generazioni diverse, tutte presenti il 6 giugno a farli propri, in un crescendo di canzoni eseguite senza cambi d’abito o effetti speciali – solo musica, pura e precisa. Una band di sette elementi accompagna Fender con eleganza: sax, armonica, chitarre, tutto dal vivo, in una cornice sonora armoniosa che sostiene la sua voce potente e calda.

Un artista che non ha bisogno di ostentare nulla, se non ciò che sa fare e sperimentare, come in Howdon Aldi Death Queue, che prende una piega inaspettatamente (e piacevolmente) punk. C’è spazio anche per un omaggio ai Clash, con London Calling, fino al gran finale: The Dying Light, che precede lo spettacolo dei fuochi d’artificio lanciati nel cielo sopra lo stadio.

Un epilogo potente, preludio di una carriera che potrebbe davvero brillare, se saprà restare in equilibrio.

Setlist:

1. Going Home: Theme Of The Local Hero
(Mark Knopfler cover) 2. Getting Started 3. Will We Talk? 4. Arm’s Length 5. The Borders 6. Dead Boys 7. Howdon Aldi Death Queue 8. Crumbling Empire 9. Tyrants 10. Rein Me In 11. People Watching 12. London Calling 13. Get You Down 14. Spit of You 15. Seventeen Going Under

Encore:

1. Remember My Name 2. The Dying Light 3. Hypersonic Missiles

© 2025, Fotografie ROCK. All rights reserved.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.