Paradise Lost: recensione di Ascension

Paradise Lost

Ascension

Nuclear Blast Records

19 settembre 2025

genere: gothic, doom metal, dark metal

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Recensione a cura di Marco Calvarese

Mettetevi comodi e concedetemi qualche minuto della vostra vita, perché non è affatto semplice trovare le parole per descrivere Ascension, il nuovo album dei Paradise Lost. Tiro subito una linea di demarcazione per chiarirci un po’ le idee: a mio gusto, si tratta di un’opera superiore ai predecessori Medusa e Obsidian, perché più completa, grazie al parziale recupero dell’ispirazione e della brillantezza degli anni ’90. Eppure, non è un capolavoro.

Mi perdonerete, ma ho di fronte una montagna da scalare e voglio partire dal basso, perché l’ascesa verso un giudizio meno tranchant e più accurato sarà dolorosa e piena di insidie, come le atmosfere dei cinque artisti di Halifax.

Non è un capolavoro pur avendone le sembianze, a partire dal meraviglioso artwork, estratto dal dipinto The Court of Death di G.F. Watts. Non lo è perché, a mio parere, non tutti gli episodi dell’opera viaggiano sull’intensità emotiva che trasmettono i primi brani: se lo avessero fatto, staremmo discutendo di un disco epocale.

Non lo è perché non mette d’accordo neppure me stesso riguardo alla produzione, benché il giudizio complessivo su di essa rimanga più che positivo: in alcuni passaggi avrei preferito una definizione migliore, in altri una maggior esposizione della chitarra di Mackintosh, tanto struggente e centrale nella colonna sonora del “paradiso perduto”.

Ma non dobbiamo dimenticare che il principale curatore del suono di questo disco, al mixer, è proprio lui, e ritengo che aver posto sullo sfondo, in alcuni momenti, la componente orchestrale e la sua lacrimosa sei corde abbia contribuito a dare risalto ai dettagli di una voce, come quella di Holmes, mai così curata e poliedrica, nonché alla potenza evocativa della sezione ritmica, regalando una dimensione più profonda e atmosferica all’album nella sua interezza.

In parole povere, credo che il disco suoni esattamente come i Paradise Lost vogliono e (passiamo così alla musica) così come essi stessi dicono di essere maturati, grazie all’evoluzione esperita in quasi 40 anni di carriera. E si tratta di un approdo straordinario, in cui ciascun musicista spicca per fantasia e accuratezza, aggiungendo pennellate di colore mai banali a un panorama d’insieme in cui il singolo si esalta.

Ascension è ciò che i Paradise Lost sono oggi: un disco perfettamente calato nel cuore e nella filosofia della band, e suona Paradise Lost in modo indiscutibile, pur rendendo sovente omaggio ad altre leggende del metal. Ma solo i grandi possono ispirarsi ai grandi senza mai perdere il proprio tocco, quello che ha contraddistinto dal primo all’ultimo album della band, pur tra le molteplici sperimentazioni, lasciando dietro di sé un sentiero ben delineato e un imprinting difficilmente confondibile: ciò che fa, in sostanza, di una grande band una band seminale.

Ascension abbraccia tutto lo scibile artistico di Holmes e soci, ma non lo fa in modo nostalgico o ruffiano, bensì attuale e imprevedibile: basti pensare che si apre con una traccia veloce e crudele, e si chiude con una delle più slow e malinconiche. In un tale caleidoscopio di emozioni, la difficoltà nel districarsi e delineare un album come Ascension cresce passo dopo passo, per cui conviene procedere con ordine.

Serpent On The Cross è proprio come immagino i Paradise Lost suonare nel XXI secolo: come se avessero preso lo spirito di Medusa, lo avessero reso più immediato, contaminandolo con l’oscura potenza di Draconian Times, e poi – ho come il sentore – con i primi Amorphis in alcuni passaggi melodici e nel timbro delle chitarre. Amore a prima vista per uno dei brani più belli ascoltati negli ultimi anni.

Silence Like The Grave sembra invece richiamare Icon, con quel riff senza compromessi e il refrain che porta il sigillo della band. Il lavoro delle chitarre, gli arrangiamenti, il mixing sono spettacolari. E il terzo singolo, Tyrants Serenade, è ancora differente, suonando come un richiamo a Gothic, ma con un refrain che rimanda decisamente al compianto Pete Steele.

Credo che, più che un compendio della traiettoria musicale della band, fin qui io stia semplicemente assistendo al linguaggio odierno dei Paradise Lost: un disco fresco e moderno, con una fortissima e definita personalità. La prima parte è completata da un’opera magniloquente e ricca di enfasi come la stupenda Salvation (lezioni di doom), un inno alla disperazione che sembra suonato letteralmente sull’orlo di un precipizio, e chiusa dalla superlativa Lay A Wreath Upon The World, dalle melodie raffinate rese ancor più evocative da quella drammatica nenia femminile e da un assolo da urlo.

Un lato A mozzafiato e da tenere saldamente nella memoria a breve termine, perché la seconda parte, a mio parere, è molto diversa e necessita di più ascolti per essere assimilata e gustata nei dettagli. Ci sento un richiamo ai primi dischi e a Faith Divides Us, con parti più spedite e groovy in cui i Metallica sicuramente hanno giocato la loro parte come fonte d’ispirazione (chiudete gli occhi e ascoltate Diluvium, o la stessa Sirens, le più dinamiche del pacchetto), e altre più lente e atmosferiche, che definirei canzoni gotiche tout court (Savage Days su tutte).

È tutta l’impostazione delle tracce a cambiare, con il growl che, ad esempio, viene relegato a contorno e arricchimento e non è più protagonista come negli episodi precedenti. Dopo aver sfiorato vette artistiche dove solo pochi eletti possono osare, nel b-side si torna, a mio giudizio, un po’ nell’ordinario. Ma non dimenticate che ciò che è ordinario per Greg Mackintosh sarebbe oro colato per chiunque altro.

Quindi, non aspettatevi filler né vistosi cali di tensione. Anzi: con Deceivers si ha la sensazione di tornare indietro nel tempo, fino alla verve dei primi lavori, per poi chiudere con un doom drammatico e spettacolare in coda al disco, con la splendida ed evocativa The Precipice.

Quanta tensione, quanto dolore regala volgere lo sguardo verso il paradiso perduto: emozioni senza tempo, che non perdono mai fascino né pathos.
A chi vibra all’unisono con il loro diapason, i Paradise Lost sanno offrire sempre prospettive differenti di sé, senza apparire ripetitivi e senza deludere mai.
Per ispirazione, emozioni e qualità, una delle migliori proposte del 2025.

Tracklist:

1. SERPENT ON THE CROSS 2. TYRANTS 3. SERENADE 4. SALVATION 5. SILENCE LIKE THE GRAVE 6. LAY A WREATH UPON THE WORLD 7. DILUVIUM 8. SAVAGE DAYS 9. SIRENS 10. DECEIVERS 11. THE PRECIPICE

Membri della band:

Nick Holmes: voce
Greg Mackintosh: chitarra
Aaron Aedy: chitarra
Steve Edmondson: basso
Guido Montanarini: batteria

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