CCCP – Fedeli alla Linea: 1964-1985 Affinità-Divergenze fra il compagno Togliatti e noi del conseguimento della maggiore età

La musica è l’arte più “pop” e “trasversale” che ci sia.

La ascoltano tutti, qualcuno la sente e qualcuno no, ma che sia in un film, in un disco o in una pubblicità, sia questa libera o al servizio, incrocia le vite di tutti noi. Nella storia questa è stata usata per fini semplicemente estetici, alla ricerca della bellezza, così come per fini sociali, filosofici e politici. Basti pensare alle carriere di artisti come Tracy Chapman o i Public Enemy, l’impegno per la libertà e i diritti civili degli afro-americani, o a cantautori come Bob Dylan, Joan Baez, Francesco Guccini,
Stefano Rosso e Fabrizio De André.

Ora, immaginate di prendere un frullatore e di mettere, senza seguire un ordine preciso, di tutte queste componenti (arte, estetica, filosofia, società e politica) un po’. Il risultato, se mescolerete bene, saranno i CCCP – Fedeli Alla Linea.

I CCCP sono stati un gruppo punk emiliano formatosi a Berlino, in seguito all’incontro tra un febbricitante Giovanni Lindo Ferretti e il chitarrista Massimo Zamboni fuori da una discoteca, nel 1982. Il loro genere fu da loro stessi definito come “punk filo-sovietico e musica melodica emiliana”, culture musicali che incontreremo già nel loro primo atto.

1964-1985: Affinità – Divergenze fra il compagno Togliatti e noi del conseguimento della maggiore età , il primo album ufficiale dei CCCP, rappresenta ancora oggi uno dei dischi più belli, influenti e “magici” della storia rock italiana.

Il chilometrico titolo del lavoro (pubblicato nel 1986) viene spesso abbreviato in Affinità e Divergenze. E’ sicuramente, il capitolo più punk della storia del gruppo, assieme ai due EP Ortodossia II e Compagni, Cittadini, Fratelli, Partigiani che, nel 1988, Virgin Dischi unirà in un unico progetto.

L’album si apre con il brano CCCP: una canzone della durata di circa due minuti e mezzo di cui uno se ne va con un giro di basso ripetuto e intervallato da suoni e distorsioni varie, e l’altro viene riempito da un pezzo punk tra i più hardcore del gruppo, rinforzato dagli slogan urlati di Ferretti.

Si tratta di slogan politici del mondo sovietico, in un’epoca in cui il pianeta si divideva in due grandi emisferi: quello sovietico/comunista e quello occidentale/capitalista. La città originaria del gruppo, Berlino, era capitale di questa spaccatura segnata, sia geograficamente che ideologicamente, dal muro.

A tratti, risulta persino difficile comprendere quanto, quello dei CCCP, fosse un elogio sincero e reale al mondo comunista dell’URSS o quanto invece fosse una critica ironica e velata;
probabilmente, entrambe le cose.

Perché negli anni ’80, con il mondo così diviso, forse non essere americani significava, in qualche modo, essere filo-sovietici. Schierarsi era, sostanzialmente, obbligatorio.
In ogni caso il disco incontra una varietà di temi trattati, tenendo fede a quanto spiegato nella prefazione.

Si parla di società e di politica, certo, ma si parla moltissimo di noia, vita di provincia sgangherata e priva di spunti, di psicofarmaci e di un’Emilia sempre più fredda, asettica… paranoica.
Da un punto di vista musicale il filo conduttore del disco sarà la batteria elettronica, secca e martellante, che scandisce nettamente la ritmica del progetto.

Questa resterà a lungo un aspetto distintivo per i CCCP, che li accompagnerà anche nei concerti,
conferendo al gruppo un’estetica e una musicalità unica, diversa da qualsiasi altra realtà Italiana. A più riprese, ad esempio in CCCP, Allarme o Emilia Paranoica , possiamo apprezzare la scelta di utilizzare le linee di basso, suonate da Umberto Negri, per disegnare le melodie dell’album e le chitarre di Zamboni per distorcere e “disturbare” l’ascolto.

Questa scelta va a creare una particolare armonia, cupa e profonda, che viene alterata da suoni affilati, pungenti e taglienti. Giovanni Lindo Ferretti canta ogni canzone come se fosse una preghiera, un po’ perché in fondo le
canzoni dei CCCP hanno qualcosa di “sacro” (anche se sarebbe meglio dire di “spirituale”), un po’ perché questa è l’unica musica che il cantante conosca.

La filosofia che si legge nei testi è contorta, sofferente e contraddittoria, aspetto che viene particolarmente alla luce nei brani Mi Ami? e Valium Tavor Serenase, ma che caratterizza tutta
l’opera. Mi Ami?, in una versione rimescolata rispetto all’originale già pubblicata precedentemente, è un
brano irriverente ispirato a Frammenti Di Un Discorso Amoroso di Roland Barthes, di cui riprende i titoli dei capitoli, e che mette sotto lo stesso tetto la poetica e la volgarità del sesso.

Valium Tavor Serenase è, invece, probabilmente, un brano figlio dell’esperienza di Ferretti come
operatore psichiatrico, professione che lo ha impegnato per cinque anni della sua vita prima della nascita dei CCCP.

Questo è il capitolo più hardcore del disco, veloce e tagliente, ma è intervallato da una “rivisitazione” del brano folk Romagna Mia , trasformato in “Emilia Mia”. La poetica e la filosofia del disco raggiungono il proprio apice, dopo diverse riflessione di realtà
quotidiana con brani come Noia e Trafitto e Morire.

Morire è una canzone che analizza la morte come incubo per chi non sa vivere e dare un valore ai propri giorni, trascinandosi faticosamente nella paura di non avere più tempo e, così facendo,
perdendo quello rimasto: “La morte è insopportabile per chi non riesce a vivere”.

Ferretti canta di una realtà difficile, pesante, che non dà stimoli e che uccide, di una morte dello spirito figlia dei “suoi” tempi, che poi sono anche i nostri.
Questo concetto viene messo ancora più a fuoco nel brano post-punk Io Sto Bene, una delle tracce più iconiche di Affinità e Divergenze, dove il cantante recita: “Io sto bene/ Io sto male/ Io non so cosa fare!” e ancora “Non studio, non lavoro, non guardo la TV, non vado al cinema, non faccio sport”.

E’ l’apatia, il vuoto, la non stimolazione; non penso ci sia altro da aggiungere.
Il disco si conclude con la traccia “culto” dei CCCP – Fedeli Alla Linea , Emilia Paranoica . Anche in questo caso, si tratta di una versione rimescolata di un brano già pubblicato dal gruppo.

Emilia Paranoica è il simbolo, un pezzo di sette minuti che, ancora una volta, va a distruggere le regole per cui, solitamente, i pezzi punk non superano i tre minuti e spesso nemmeno i due.
Il testo di Giovanni Lindo Ferretti (“consumami, distruggimi, è un po’ che non mi annoio”), il fantastico assolo di basso che segue lo spezzone più graffiante del brano, riportando la melodia, e l’urlo iniziale di Annarella Giudici sono perle che vanno a rendere epocale un brano come questo.

Quest’ultima, “benemerita soubrette del popolo”, assieme a Danilo Fatur, “artista del popolo”, rappresentavano la parte teatrale dei CCCP, fatta di danze, costumi, recitazione e follia. Insieme costituivano l’anima dei CCCP , un’anima bella, fuori dal tempo, elegante ma anche selvaggia, folle ed animale.

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