Automatic: recensione di Is It Now?

Automatic

Is It Now?

Stone Throw Records

26 settembre 2025

genere: krautrock, post-punk, synth-wave, new wave, breakbeat, psych-pop

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

Dopo la pubblicazione dei primi due lavori in studio, Signal ed Excess, le Automatic – trio losangelino composto da Izzy Glaudini, Halle Saxon Gaines e Lola Dompé – tornano sulla scena con il terzo album Is It Now?, edito da Stones Throw Records, sotto la supervisione del produttore Loren Humphrey – già batterista di Florence And The Machine e Tame Impala.

Il titolo stesso, Is It Now?, con quel punto di domanda, suggerisce un’amara riflessione sulla percezione del presente come tempo incerto o inafferrabile, ma può anche alludere a un momento di possibile rottura nei confronti della deriva morale e culturale di questa società, oppure a una presa di coscienza riguardo la perdita di una dimensione collettiva a favore di logiche di convenienza individuali.

Custodendo con nostalgia il ricordo di un mondo precedente alla disillusione, e restando impermeabili alle omologazioni della musica contemporanea, le Automatic intrecciano trame dense, eclettiche e oblique, in equilibrio tra calore umano e freddezza meccanica.

Gli undici brani della release si sviluppano su una patina accattivante di ritmiche lineari, attraversate da incursioni poliritmiche, sfumature elettroniche e linee di basso rotonde, gommose e pulsanti, il tutto accompagnato da vocalità morfinose, delicate, indolenti e suadenti. L’incedere è affidato a batterie robotiche e sintetizzatori in loop, che vanno ad amplificare il distacco emotivo. Una colonna sonora adatta alla fine dell’estate, tra leggerezza residua e primi segnali di malinconia autunnale.

Gli elementi stilistici si muovono all’interno della bolla vintage del post-punk, contaminandosi con trame synth-pop oniriche, lampi shoegaze, fisarmoniche folk, boogie disco e l’enfasi umorale della new wave. Emergono foschie metropolitane in chiave disco, tra groove e breakbeat ipnotici, che si mescolano a ritmi sincopati afro-tribal jangle e a sperimentazioni mitteleuropee di matrice krautrock. I riferimenti spaziano da New Order e Gary Numan a Stereolab, passando per Prodigy, Suicide, Kraftwerk e Neu!.

Sotto l’aspetto testuale, La band, tutta al femminile, affronta temi come guerra, isolamento, voglia di scappare e il difficile equilibrio tra essere sé stessi e adattarsi agli altri. Sono pensieri che nascono da come viviamo oggi, in una comunità global-oriented dove l’unico senso vitale sembra ridursi al “produci, consuma e crepa” di ferrettiana memoria. Nei vari brani è ricorrente la frase “run away”: un invito metaforico a liberarsi da gabbie mentali e dal bisogno di conformarsi, in una realtà che ci spinge a correre sempre, senza mai fermarci, come su una pista di atletica, proprio come si vede in copertina.

Come ha dichiarato la stessa Izzy Glaudini: “La cosa a cui penso di più ogni giorno è: come si fa a provare un senso di gioia mentre il mondo sembra crollare e ci si sente così impotenti? Sento che, come cittadini americani, abbiamo la responsabilità di tirare le leve per fermare la macchina. Is It Now? parla del tentativo di non sentirsi vittime in questo contesto. È importante continuare a provare un senso di gioia, anche in mezzo a tutta la merda orribile che sta succedendo nel mondo”.

Con il suo drumming tribale ed eccitante, Black Box riflette sul fatto che il male è il prezzo da pagare quando perfino l’arte viene sottomessa al compromesso economico (“art is defiled by masters of the world”), mentre mq9 punta l’attenzione sulla guerra che arricchisce i potenti (“do you bleed for rich man’s gain?”).

La titletrack, Is It Now?, introduce stati d’animo legati al conformismo, alla critica sociale e a un sistema che calpesta i nostri sogni (“I wanna be like going out alone, they wanna be like copy or clone”). Emblematico il verso: “Cut your hair with kitchen scissors, new look, a different image, could it be now? Is it now?”. Il gesto impulsivo di tagliarsi i capelli da soli, con forbici da cucina, è simbolo di sfida alle convenzioni, spesso legato a crisi o al bisogno di trasformazione, non solo esteriore ma anche identitaria.

E così, tra stati d’ansia, dubbi, logorante attesa e vecchi orizzonti ormai dissolti, ci si chiede: è questo il momento giusto per cambiare? In tempi in cui si respira un’aria di terrore, non si ha più voglia di ballare, ma piuttosto di sparire tra la folla (“every moment here reminds me I don’t wanna dance”) e tornare ad apprezzare ciò che resta.

Lazy racconta una solitudine mascherata da indifferenza, vissuta con l’illusione di avere il controllo della nostra vita (“the thing you thought you wanted was just the image of control”). D’altronde, come diceva Woody Allen, è difficile ammettere che ogni cosa, nella vita, ruoti intorno alla fortuna. Country Song guarda invece alla possibilità di lasciare il contesto opprimente e artificiale della città, per ritrovare un legame autentico con la natura (“who would have thought, I’m a wife of nature”).

In questo capitolo, le Automatic fotografano una società in cui l’individuo, sempre più incline ad assecondare gratificazione a breve termine, si rifugia in un presente virtuale e superficiale, senza alcuna profondità né prospettiva. Nel frattempo, il mondo continua a girare e la vita scivola via come sabbia tra le dita.

Tracklist:

1. Black Box 2. mq9 3. Mercury 4. Lazy 5. Country Song 6. Is It Now? 7. Don’t Wanna Dance 8. Smog Summer 9. The Prize 10. PlayBoi 11. Terminal

Membri della band:

Izzy Glaudini (synth, voce), Halle Saxon (basso, voce), Lola Dompé (batteria, voce)

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