Warbringer
Wrath And Ruin
Napalm Records
14 marzo 2025
genere: thrash metal, speed metal, blackened thrash, epic metal, thrash-groove
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Recensione a cura di Marco Calvarese
Warbringer è da da sempre garanzia di continuità e sicurezza. Strutture articolate, riff vari e ispirati, cambi di tempo fluidi ed emozionanti, assoli di qualità e ben legati con il corpo del brano. Tutte queste doti certificano il valore indiscusso di una band che, grazie a un’identità precisa e alla sorprendente versatilità di John Kevill dietro il microfono, diversifica brani e album infilandoci dentro ogni volta contaminazioni nuove.
Wrath And Ruin, settima e ultima fatica discografica della band di Oakland, non si discosta troppo dalla nicchia ormai scavata dai Warbringer nella scena della new wave del thrash, sebbene offra nuovi spunti rispetto al precedente capitolo, con una particolare attenzione alla teatralità, alle linee melodiche e alla declamazione rabbiosa. Furiose cavalcate speed (a mio parere le parti più riuscite del disco) si alternano ad episodi più cadenzati, dove tonalità epiche sfociano nel blackened-thrash, ma senza disegnare incursioni in territorio groove.
Il successo di questa band risiede nella capacità innata (perché presente fin dagli esordi) di amalgamare il tutto in modo coerente e dinamico, regalando ad ogni frame sfumature nuove, senza mai dare l’impressione di navigare a vista. Così, i Warbringer sono riusciti a piegare la sensibilità di ciascun sottogenere tanto alla propria idea di thrash metal quanto alla loro esigenza narrativa.
Ciascuno può sentire in ogni opera influenze diverse: in Wrath And Ruin ho trovato riferimenti ai Manowar di Triumph Of The Steel, ai Rage, a certa NWOBHM, ai Bathory (non è una novità), ai Sepultura, agli Helloween, ai Megadeth e nel contempo non ho mai perso di vista il filo conduttore della discografia dei Warbringer. Un Frankenstein, a differenza di quello del romanzo di Mary Shelley, perfettamente riuscito e senza alcun dubbio esistenziale.
Come tutti i dischi precedenti, Wrath And Ruin percorre traiettorie imprevedibili lungo piani qualitativi elevati, forse senza picchi indimenticabili, ma senza mai scivolare nella banalità o nel filler. Ad esempio, i primi due episodi sono devastanti, ma ricordo di aver pensato esattamente la stessa cosa ascoltando Woe To The Vanquished o, prima ancora, Waking Into Nightmares, il mio preferito.
La opener The Sword And The Cross è una cavalcata a perdifiato con stop & go che mi hanno rimandato senza indugio alle prove più rabbiose dei Manowar, per poi legare uno strumentale di puro thrash e un primo assaggio di quei fraseggi tra le chitarre che poi saranno il valore aggiunto di tutto il platter. Chitarre che, nell’arrembaggio di Better World (hit dell’album e una delle migliori ascoltate quest’anno), sfoggiano un gusto classicheggiante che si riverbera, poi, con sfumature diverse e in modo discreto, lungo l’intero album, giocando con le melodie vocali e suscitando nella mia mente maniache fantasie orchestrali.
Senza fare una piega, e senza sorprese, i Warbringer ci accompagnano verso i territori groove di Neuromancer, cadenzando i ritmi e scegliendo linee vocali che rimandano al Max Cavalera 1.0: impreziosita ancora dalle due asce, la combo creata dalla durezza della ritmica e dalla finezza dell’assolo in tapping crea un sorprendente effetto scary. La linea scelta dalla band in questa nuova puntata della loro storia sembra quella della rabbia e The Jackhammer la esprime benissimo, aggredendo l’ascoltatore da subito per poi regalargli un breakdown da urlo sul cui sfondo si innesta un tagliente assolo.
Il drastico cambio di scenario rappresentato da Through A Glass, Darkly prende le mosse da arpeggio, cantato sussurrato, mid-tempo e timbro delle chitarre: scende il gelo sul proscenio e affiora tutta l’epicità di un blackened-thrash dalle cui viscere ti aspetti di veder comparire, da un momento all’altro, la figura imponente del compianto Quorthon. L’assolo si fa desiderare ma, quando arriva, ci riporta a una dimensione melo-thrash con una espressività disarmante.
Non commettete l’errore di deporre l’armatura vichinga durante la furibonda Strike From The Sky: lo so che è impossibile restare fermi mentre la sparate nelle casse, lo so che è una poderosa macchina del tempo e da guerra che rimanda direttamente alla metà degli anni ’80, come se uscisse da Walls Of Jericho, con tanto di cori e acuti strepitosi di uno straordinario Kevill.
Ma dietro l’angolo c’è una vera perla, forse la mia preferita in assoluto: Cage Of Air stupisce per l’originalità del riff portante e per una rabbiosa narrazione vocale, stesa sul pressoché costante true blast beat. L’andamento cede poi il passo a uno splendido assolo, sostenuto dalla sessione ritmica più emozionante della release. Si chiude, infine, con un passaggio di puro black metal, come se, finito il momento anthemico, il vichingo iniziasse la sua cavalcata anacronistica contro la gabbia eterea che la modernità gli ha eretto attorno. Un brano che varrebbe, da solo, il prezzo del disco.
Wrath And Ruin si chiude con la malinconica The Last Of My Kind, in cui latenti influenze neoclassiche si mescolano a un approccio groovy ben curato e riff-based. La maturità porta il titolo di Wrath And Ruin ed ha l’imprinting indelebile dei Warbringer: nessun amante del genere dovrebbe lasciarsi sfuggire questo ennesimo caleidoscopio emotivo, che merita di essere apprezzato anche dal vivo.
Titletrack:
1. The Sword And The Cross 2. A Better World 3. Neuromancer 4. The Jackhammer 5. Through A Glass, Darkly 6. Strike From The Sky 7. Cage Of Air 8. The Last Of My Kind
Line-up:
John Kevill – voce
Chase Becker – chitarra
Adam Carroll – chitarra
Chase Bryant – basso
Carlos Cruz – batteria, tastiere
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