Testament: recensione di Para Bellum

Testament

Para Bellum

Nuclear Blast

10 ottobre 2025

genere: thrash metal, blackened thrash metal, death-thrash metal

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Recensione a cura di Marco Calvarese

Il tasso di difficoltà nel parlare dei Testament, vera istituzione del thrash, della scena metal tutta e della mia vita, va moltiplicato per un coefficiente pari alla depurazione da ogni giudizio di parte: credo di essere alle soglie dei 40 anni di ascolto della band del gigantesco Chuck Billy e, sinceramente, faccio fatica a ricordare un loro disco che io non abbia amato, ciascuno per le ragioni più disparate.

Loro sono, in pratica, un supergruppo naturale, dove entri solo se hai qualità tecniche assurde: da qui sono passati fior di strumentisti e i veterani della combo di Berkeley sono ormai icone della nostra religione musicale.

Aggiungete che i due album precedenti (Titans Of The Creation e, soprattutto, il monumentale Brotherhood Of The Snake) sono stati di una spanna i miei dischi preferiti del rispettivo anno; che questa incisione vede l’esordio dietro le pelli di un ragazzo che ha la metà degli anni degli altri musicisti; che a giorni li vedrò nuovamente dal vivo… e potrete farvi un’idea di quante aspettative io abbia riposto in Para Bellum, il loro quattordicesimo e ultimo LP.

Ve lo dico in anticipo: questo disco l’ho vivisezionato, fin dalla solita cover stupenda, sgargiante, che rappresenta cinque artificieri (i membri della band?) che assistono all’esplosione di un fungo atomico a forma di Beata Vergine.

Ho provato ad ascoltarlo in modo ordinato, l’ho messo in sottofondo, mi ci sono dedicato concentrandomi; l’ho fatto girare senza sosta, poi mi sono concesso delle pause; ho provato saltando da una traccia all’altra, l’ho sparato con e senza cuffie: gli sto ancora cercando un difetto. Dieci episodi e nessun passaggio riempitivo, nessuna nota stonata. La produzione è perfetta: i suoni sono ben bilanciati, non si eccede in pulizia, ogni artista ha pieno risalto ed io riesco a individuare il talento puro di ciascuno dei boys.

Chuck è in forma smagliante, Skolnick stratosferico, soprattutto negli assoli, Di Giorgio ormai un pilastro, con maestria tecnica ed esposizione adeguata. Ma è nel duo Peterson-Dovas, a mio modesto parere, il segreto di Para Bellum: il primo, secondo me, ha importato elementi nuovi e originali dal suo progetto parallelo Dragonlord, arricchendo il songwriting dell’album. Il secondo non solo non ha fatto rimpiangere Gene Hoglan, ma ha apportato la propria personalissima impronta nei Testament, conferendo un tocco groove (quanto mai gradito) nei rallentamenti e un blast beat fresco e asciutto quando era il caso.

Insieme, hanno introdotto aromi black alla collezione già ricchissima di sonorità amalgamate e ricamate dagli altri membri del gruppo, garantendo a Para Bellum la palma di degno erede degli album precedenti (e basterebbe la metà per farne un ottimo disco) e di album più originale del nuovo secolo di Skolnick & Co.

Sono le prime due tracce, pur strutturalmente tanto diverse tra loro, a evidenziare da subito questo elemento di novità: la opener For The Love Of Pain alterna un groove-thrash che rimanda a Demonic, con un black metal pressoché puro e lo scream di Peterson a farla da padrone, mentre Infanticide AI (primo singolo estratto) propone un blackened death-thrash senza compromessi, arricchito dal primo di una lunga serie di assoli del sempre ispirato Skolnick, che esalta la velocità esecutiva dello stesso Dovas.

Però, a mio gusto, Shadow People riesce a mostrare il meglio dei Testament proprio rallentando i ritmi, con un mid-tempo che rimanda ai Metallica, nel quale brilla proprio il filling di Dovas, qui protagonista fin dall’intro.

Il primo colpo di scena ce lo regala Meant To Be: dai tempi di Return To Serenity, non ricordo una ballata di questo spessore, con melodie azzeccate anche in virtù di una sessione archi arrangiata deliziosamente. In alcuni link e accordi il richiamo ai Metallica è forte, ma ci sta, in un brano che mi ha centrato al cuore con la sua potenza evocativa.

A questo punto, lo stupore e l’entusiasmo mi hanno ricordato quelli ricevuti trent’anni fa da Low, e mi sono augurato di non rimanere deluso come allora nel prosieguo dell’ascolto, quando, dopo i primi brani, era emersa una certa stanchezza compositiva. A fugare ogni dubbio, fin dall’apertura di High Noon, ci pensano il rumore del carrello di una pistola semiautomatica, il growl sontuoso di Chuck Billy e un riff che sembra estratto, ironicamente, proprio da Low, però riveduto e corretto come se ci fosse passata sopra la sezione ritmica dei Lamb Of God.

Così l’attenzione resta viva ed è un bene, perché Witch Hunt ne richiede tanta, essendo, a mio giudizio, la traccia più complessa dal punto di vista armonico e la meno immediata del disco. Lungi dall’essere un difetto, essa mescola ancora lo spirito di Low con un sound che richiama la prima decade della band e rappresenta un ponte verso la seconda parte di Para Bellum.

Qui arrivano episodi che personalmente adoro, perché i riflettori sono puntati su un Alex pronto a dare veramente il meglio di sé: Nature Of The Beast è un omaggio al thrash & roll dei primi Metallica e, dunque, ai Motörhead, mentre Room 117 potrebbe comodamente essere estratta da un album dei Megadeth dei primi nineties e, se questo non bastasse a risvegliare il vostro entusiasmo, sappiate che contengono due fra gli assoli più fighi che possiate ascoltare di questi tempi.

Havana Syndrome mi rimanda ai Testament di The Ritual, ma in chiave più moderna e immediata, e davvero si gode a riccio, perché mi sto ancora domandando se io preferisca il lato A, con le sue contaminazioni più estreme, o il lato B, più nostalgico e tradizionalista. L’incedere solenne della titletrack, cui viene riservata la chiusura, mette tutti d’accordo, sussumendo la ferocia e la tecnica – anime dell’intera discografia dei Testament – in una prestazione sopra le righe.

Un ritorno da maestri, che non prenderà certo la polvere sul mio scaffale: trovategli un difetto e vi offro una birra.
E sapete perché il mio giudizio positivo è così netto? Perché qui non c’è solo il sound inconfondibile dei Testament, ma anche immediatezza: un impatto dirompente dal primo ascolto che rappresenta la vera novità di Para Bellum. Semplicemente imperdibile.

Tracklist:

1. For The Love Of Pain 2. Infanticide A.I. 3. Shadow People. 4. Meant To Be. 5. High Noon. 6. Witch Hunt 7. Nature Of The Beast. 8. Room 117. 9. Havana Syndrome. 10. Para Bellum.

Lineup:

Chuck Billy – voce
Alex Skolnick – chitarra
Eric Peterson – chitarra, seconda voce
Steve Di Giorgio – basso
Chris Dovas – batteria

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