Orbit Culture: recensione di Death Above Life

Orbit Culture

Death Above Life

(Century Media Records)

3 ottobre 2025

genere: industrial metal, groove-death metal, metalcore, avant-garde metal, melodeath

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Recensione a cura di Marco Calvarese

“Faccio l’accento svedese?”. Ricorderete l’iconica battuta di Fantozzi che cercava, con un miserabile espediente, di salvarsi il culo in una delle sue situazioni tragicomiche. Geniale.

La stessa espressione potrei usarla io quest’anno, magari estendendo la mia ancora di salvezza a tutto il metal estremo scandinavo. Ribaltando però il senso della perifrasi, la si potrebbe porre come domanda agli Orbit Culture: dov’è finito il vostro “accento” (musicale) svedese?

Per i pochi ignari, stiamo parlando di una band nata come semplice erede del melodeath di scuola Gothenburg, ma evolutasi fino a diventare, vertiginosamente, una delle più apprezzate del ventunesimo secolo, contaminando il proprio sound con elementi sempre più incalzanti di groove e metalcore, e con distorsioni rilette in una chiave sempre più industrial.

Ecco che il loro quinto LP, Death Above Life, giunge a pennello per permettermi di capire se tanta fama sia meritata e se l’evoluzione stia realmente progredendo.
E, obiettivamente, è così: copertina glaciale e produzione bollente, sempre più sporca e adeguata alle intenzioni degli Orbit Culture (ci torneremo). Death Above Life è metallurgia a ciclo continuo, una colata di piombo fuso con il rombo delle presse in sottofondo.

Inferna, la freschissima opener, il cui titolo nulla lascia al caso o all’intuito, sembra un esperimento malato in cui un musicista geniale ma folle scrive una partitura vagamente scandinava per poi metterla in mano a Gojira, Trivium, Lamb Of God, Sepultura e Ministry, e vedere, dopo una settimana, cosa ne vien fuori.

L’interpretazione è fortunata: il brano si arricchisce di synth ed effettistica atmosferica, ma resta un tritasassi che, nel refrain dalle linee metalcore, acquisisce anche una dimensione disperata. Non è nemmeno da lontano il mio brano preferito, ma mi dilungo nella sua descrizione perché contiene in nuce tutto ciò che troveremo, variamente mescolato e arrangiato, negli episodi successivi e, se vogliamo, tutta l’anima del disco.

Il cordone con il melodeath non è del tutto reciso, ma clampato sì, e la linfa che ne deriva è un rivolo sempre più sottile in vene irrorate da sangue groove a profusione. La miscela generata da questo tipo di evoluzione ha un impatto devastante, una potenza che sprizza fuori da ogni brano e la freschezza della modernità. Questo è assolutamente fuori discussione.

Certo, ci sono melodie a cui occorre fare un po’ l’abitudine, per chi proviene, come me, da un’altra era metallica: come in Inside the Waves, in cui domina la scena metalcore tanto nel cantato quanto nel breve ma sentito assolo, di pura derivazione Matt Heafy.

A tratti si ha la sensazione di linee vocali di stampo nu metal nelle strofe in growl (come nell’irresistibile Bloodhound, in cui sento i Korn elevati alla potenza dell’industrial più estremo), altre volte di un concentrato di Lamb Of God, Fear Factory e As I Lay Dying, arricchito da elementi orchestrali e dal tocco personale della band, come in The Tales Of War.

Ma tutto questo arcipelago di influenze convergenti, apparentemente caotico, in realtà è come un Tetris in cui tutto si incastra alla perfezione, definendo un sound dai lineamenti molto marcati e ben individuabili. Forse troppo.

Già, perché Death Above Life sembra l’erede naturale del suo predecessore Descent: ne reca le stimmate, ma non sono sicuro che ne rappresenti un’evoluzione. L’altra faccia della medaglia è un cliché abbastanza ripetitivo che, alla lunga, può impantanare l’ascolto.

L’antidoto contro questo rischio è un riffing crudele e volitivo, insieme a breakdown mozzafiato e a una qualità armonica sopra la media. Ma rimane un limite non da poco, perché può compromettere l’entusiasmo di chi non sia esattamente un fan del metal più avanguardista.

Ecco che Hydra potrà far storcere il naso ai puristi per la sua semplicità apparente, ma picchia come un fabbro e pone un accento impeccabile sulle sue sonorità industrial, in cui l’abbondante campionatura crea un clima claustrofobico anche intorno alle parti clean.

Poi, però, la riproposizione di certe strutture si fa evidente, perché già con Nerve ho sensazioni simili a Inside The Waves, e la mia attenzione si ridesta solo con il breakdown finale; così come la titletrack ripercorre il canovaccio di Hydra, solo un po’ più “gojiroso”. Belle e feroci, sia chiaro, ma qualche perplessità finisce per emergere, anche perché, in tutto questo, una produzione a mio avviso non perfettamente bilanciata, “sporcando” tutto allo stesso modo, concorre ad appiattire un po’ il prodotto.

The Storm fa riaffiorare l’elemento melodic death, sia pure interpretato in chiave groove, assicurandomi elementi di novità con il tremolo riffing portante, i cambi di tempo e un bell’assolo: si tratta di una boccata d’aria fresca, che diventa groove a piene mani in Neural Collapse, la traccia più dinamica e trascinante dell’intero disco, in cui spicca la qualità di Christopher Wallerstedt: una mitragliatrice dietro le pelli.

La chiusura è riservata alla ballad The Path I Walk: difficile esprimere un parere, perché la profondità e la malinconia del testo sovrastano ogni discorso musicale. Ma, al netto del messaggio inappuntabile di Niklas Karlsson, nulla aggiunge a un disco difficile da classificare e criticare, ma di certo impossibile da ignorare.

Gli Orbit Culture sono – piaccia o meno – ormai nel gotha del metal contemporaneo, e Death Above Life è senz’altro una prova dei meriti di Karlsson e soci, oltre che, ripeto, il naturale approdo di un percorso di maturazione e mutazione ben definito.

Ad essere del tutto onesto, non salterò sul carro del vincitore: a me Descent piacque di più, lo trovavo più equilibrato e meglio registrato. D’altro canto, è davvero difficile resistere al fascino di tanto metallo crudele e bollente, che consoliderà gli Orbit Culture in cima agli indici di gradimento dei metalheads più giovani.

Tracklist:

1. Inferna. 2. Bloodhound. 3. Inside the Waves. 4. The Tales of War. 5. Hydra. 6. Nerve. 7. Death Above Life. 8. The Storm. 9. Neural Collapse. 10. The Path I Walk.

Line-up:

Niklas Karlsson: voce e chitarra
Richard Hansson: chitarra solista
Fredrik Lennartsson: basso
Christopher Wallerstedt: batteria

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