Mad World

Vi è mai capitato di pensare a come sarebbe stata la vostra vita se, in determinati momenti, aveste fatto una scelta diversa? Sono domande esistenziali alquanto ordinarie nella vita di ognuno di noi, quello che anglosassoni e americani riassumono con l’espressione “What If?”, ossia, quel che sarebbe potuto succedere se un preciso avvenimento storico fosse andato diversamente. Le famose ‘Sliding Doors’, come quelle del famoso film con Gwineth Paltrow. Cosa sarebbe successo in Europa se Hitler avesse vinto la seconda guerra mondiale? Cosa sarebbe successo se l’Accademia delle Belle Arti di Vienna non avesse respinto l’aspirante pittore Adolf Hitler? Quotidianamente capita di sentire frasi del tipo: “Se avessi fatto così”, “Se avessi preso un’altra strada”, “Se avessi studiato”, “Se avessi preso quel treno”, “Se avessi preso quell’aereo”; questi sono solo alcuni dei quesiti che ci poniamo pensando ad alcune situazioni del nostro passato, pensando alle conseguenze delle nostre azioni, e cercando di distribuire sempre al meglio l’uso corretto del congiuntivo.

Ma, dopo esserci arrovellati le meningi con il rimpianto ed il rimorso per quello che è stato o per le occasioni perdute, arriveremo comunque alla agrodolce conclusione che, alla fine, è inutile piangere sul latte versato e che purtroppo, o per fortuna, non possiamo tornare indietro nel tempo, oppure ci potremo sempre rassegnare, o consolare, dando la colpa di tutto al fato, al destino beffardo, alla scarlattina di Nando Meliconi, oppure all’Assurdo tanto caro ad Albert Camus.

La vita è ciclica, ha tutto un suo moto sinusoidale che si ripete all’interno della nostra percezione dello spazio e del tempo. All’atto pratico il presente non esiste, è solamente una relativa porzione di tempo con la quale vogliamo avere l’illusione di separare il passato da ciò che ci attende nel futuro, immediato oppure lontano. È praticamente impossibile fermare il tempo, nonostante l’ammirevole e commovente tentativo da parte di moltissime donne e uomini attraverso le scoperte miracolose dell’industria farmaceutica. È parimenti impossibile tornare indietro nel tempo, fatta eccezione per Benjamin Button e la DeLorean, a meno che non vi capiti di provare la sensazione di un’esperienza vissuta precedentemente, il cosiddetto déjà-vu, o a meno che non siate Jake Gyllenhaal nel film ‘Donnie Darko’. Ed è altrettanto impossibile catapultarsi nel futuro, a meno che non siate George Orwell, David Bowie o i Kraftwerk, o a meno che non facciate quei simpatici test sui social per scoprire la vostra data di morte, ma in quel caso, il test sarà utile, al massimo, per scoprire che siamo in troppi su questo pianeta.

Il concetto di tempo può essere considerato circolare, come nel caso di ‘Donnie Darko’, un film che inizia e finisce il 2 ottobre del 1988, e che, all’interno di quel fatidico giorno, racconta una dimensione parallela che comincia il 2 ottobre e si conclude la notte di Halloween. Il protagonista, Donald Darko, interpretato da un giovanissimo e talentuoso Jake Gyllenhaal, è un adolescente problematico, introverso, incompreso, depresso, con problemi di schizofrenia, costretto a curarsi tramite psicofarmaci ed ipnosi, affetto da sonnambulismo, ma che alla fine risulterà un’anima fragile, dalla parte degli emarginati come lui, ed ostile nei confronti dell’ipocrisia e del bigottismo che lo circondava. Donnie ha un’intelligenza superiore rispetto ai suoi coetanei, ma è un nerd schizzato, uno considerato ‘strano’, deriso e bullizzato. I nerds, o losers, avranno la loro rivincita soltanto qualche anno più tardi, nei Novanta, ed il brano ‘Loser’ di Beck sarà l’inno di quella generazione. Donnie, dunque, incarna la ribellione adolescenziale nei confronti dei predicatori, della società, della massa ottusa e silente, in un habitat che sente andargli stretto, nel quale vorrebbe trovare le risposte ai suoi dubbi esistenziali. Donnie è uno straniero in terra propria, e proprio come Mersault non si piega alle convenzioni degli uomini, fugge dalle bugie del giorno per rifugiarsi nell’oscurità della luna, tra le note barocche e decadenti di ‘The Killing Moon’ degli Echo and The Bunnymen. E’ risaputo che l’utilizzo di psicofarmaci può provocare effetti collaterali sulla psiche umana, come il disturbo della percezione ed allucinazioni visive e uditive, come nel caso di Donnie Darko. Donnie vive in una dimensione parallela, un universo concomitante, che rischia di sostituirsi alla realtà primaria, il ché andrebbe a determinare un finale apocalittico per tutta l’umanità. Negli anni ’80, ci fu davvero il rischio di una apocalisse atomica, “È arrivato l’Armageddon,”. Il mondo si trovò, per una settimana, sull’orlo di una guerra nucleare: eravamo in piena Guerra Fredda e la ‘vecchia’ Unione Sovietica scambiò un’esercitazione militare della NATO per un tentativo d’attacco, tanto da preparare le loro testate nucleari.

Questo era il clima di tensione e nervosismo tra Stati Uniti e Unione Sovietica all’inizio degli anni ’80, fino alla conclusione della Guerra Fredda a fine decennio.

Ma alla fine, l’interpretazione potrebbe essere anche meno catastrofista, cioè il mondo parallelo potrebbe essere soltanto il sogno in cui Donnie si rifugia, insieme al suo amico immaginario travestito da coniglio, in cui scopre, per la prima volta nella sua vita, l’importanza dell’amore, e del non vivere più l’inquietudine di rimanere solo, di morire solo, come il suo cane. Già a metà degli anni ’80, in anticipo rispetto al mondo sotterraneo che stava emergendo in quel di Seattle, subentrarono temi come il tormento dell’animo umano, la perdita di identità, il nichilismo, dovuti all’incomprensione del mondo e alle pressioni di una società ostile, nonostante gli Ottanta fossero caratterizzati da una predisposizione all’edonismo, alla ricerca del piacere, della leggerezza. Però, tutte quelle luci, tutti quei riflettori, nascondevano la paura di non farcela, di essere fuori luogo, di non essere all’altezza, in una società che stava uscendo prepotentemente dai tempi bui di fine anni ’70. Purtroppo, gli Ottanta saranno soltanto una meravigliosa illusione, un’allucinazione visiva e uditiva, un universo contingente, proprio come nel mondo di Donnie Darko. Questa potrebbe essere una comprensibile analisi e similitudine, seppur semplicistica.

‘Donnie Darko’, a mio avviso, al netto di tutte le considerazioni e le congetture, è un racconto sulla solitudine, sul malessere adolescenziale e sul senso dell’esistenza, ma più che altro è un film sull’amore, con questo giovane Cristo che muore e si immola per il bene dell’umanità e dei propri affetti. Donald Darko è una sorta di supereroe moderno, che proprio nel momento finale abbandona i panni del ragazzo emarginato e si trasforma nell’eroe Donnie Darko, senza indossare maschere o travestimenti, per salvare l’umanità dal suo tragico destino. Tutta questa storia ci lascia parecchi spunti di riflessione in merito all’andamento delle nostre azioni, e sulle possibili conseguenze causate da un paradosso temporale ai danni del corso naturale della storia del mondo. Insomma, i viaggi nel tempo sono da sempre un gran casino, soprattutto quelli nel passato.

Gli scienziati stessi dicono che è impossibile viaggiare nel tempo, ma la cosa che forse provoca più sgomento nell’essere umano è provare a immaginarsi il “cosa succederebbe se”. Tuttavia, tutte queste teorie hanno ispirato sceneggiatori e registi in cerca di sorprendenti svolte per le loro trame, soprattutto negli anni ’80 e ’90, e causato forti emicranie negli spettatori che hanno provato a capirle. Ci sono stati viaggi nel tempo senza macchine del tempo, come ‘Donnie Darko’, ‘Ricomincio da Capo’, ‘Non Ci Resta che Piangere’, oppure viaggi nel futuro e nel passato con macchine e robot, come tutti i ‘Ritorno al Futuro’, i due ‘Terminator’, Philadelphia Experiment’ e ‘L’Esercito delle 12 Scimmie’. Questi sono alcuni titoli tra i più famosi di sempre.

‘Donnie Darko’ rimane comunque un fitto mistero, una pellicola aperta a mille interpretazioni, con una meravigliosa colonna sonora new wave pop che cattura l’attenzione e si cala perfettamente nell’atmosfera malinconica, nostalgica, suggestiva, romantica e surreale del film, che serve a ricordarci che ci troviamo nei meravigliosi anni ’80, l’epoca che ha consacrato l’utilizzo dei sintetizzatori, con gli inglesi Echo and The Bunnymen ad aprire le danze alla luna, un inno alla luna portatrice di morte. Eppure non sono così lontani i tempi delle serenate alla Luna dei Television di Tom Verlaine. The Bunnymen, gli uomini coniglio, nome del gruppo quanto mai azzeccato e coerente con la trama del film, che prosegue, sotto le stelle della Via Lattea, con l’acustica sognante e seducente di ‘Under the Milky Way’ degli australiani The Church, altro gruppo storico di quel periodo. Tra le più belle melodie della colonna sonora di questo film troviamo ‘Head over Heels’ e ‘Mad World’ della famosa band anglo-statunitense Tears for Fears. In particolar modo, ‘Mad World’, il pezzo che chiude il film, nella versione acustica, più lenta e struggente di Gary Jules, ci lascia incantati e ci accompagna emotivamente nella sequenza finale in cui Donnie muore, o sceglie di morire, riportando così l’universo sul suo percorso naturale e primario, in cui tutti gli altri protagonisti sembrano comunque segnati da quel destino parallelo, si ritrovano alle prese con dei deja-vù, e sembrano avere dei ricordi sfocati di quella realtà contingente.

C’era una canzone di parecchi anni fa dal titolo ‘It Takes a Fool to Remain Sane’. Forse, chi lo sa, è proprio così, bisogna essere pazzi per rimanere sani in questo mondo assurdo e sempre più incomprensibile, nel quale non sappiamo più distinguere il mondo reale da quello virtuale, la verità dall’incantesimo.

In conclusione, tutto questo dualismo, questa ipotetica ubiquità, questa illusione di mondi differenti sovrapposti, mi fa venire in mente la teoria della simultaneità dei mondi tanto cara a Escher, oppure il ‘Ritratto di Dorian Gray’ di Oscar Wilde, o più semplicemente lo specchio che abbiamo in casa, che ogni giorno riflette la nostra immagine.

E se anche la nostra immagine vivesse di vita propria?

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