Deep Purple : Machine Head

Descrivere un album degli anni ’70 è come scegliere una carta a caso nel mazzo. Tutti bellissimi e tutti imprescindibili. Sfornare l’ennesimo capolavoro, dopo il monumentale In Rock ed il successivo Fireball, non è da tutti ma i Deep Purple, con la line up che li consacrerà al mito eterno, ci sono riusciti.

Ci sono formazioni calcistiche che rimangono nella memoria collettiva di tutti; ecco, la formazione denominata MARK II è come una di quelle squadre: Ian Gillan voce, Ian Paice batteria, Roger Glover basso, Ritchie Blackmore chitarra, Jon Lord tastiere.

Si parte con la pluridecorata Highway Star, dove Lord e Blackmore fanno a gara a chi sforna riff più incisivi e veloci. Ian Gillan è a dir poco divino.

Solo io sento in Maybe I’m a Leo tutto il repertorio blues dell’epoca? Si continua con la bellissima Picture of Home, dove i Purple si dilettano in assoli che fanno divertire l’ascoltatore. Parere personale, arriva forse il pezzo più interessante dell’intero album: Never Before ha dentro tutti gli anni ’70. Rock, blues e funky si incastrano tra la voce genuina di Ian Gillan.

Arriva il riff insegnato in tutte le scuole di musica mondiali. Smoke on the Water ha una storia a tratti drammatica, ma solo il riff che la apre la consegna all’eternità.
Il disco venne registrato nel Casinò di Montreax, in Svizzera. Stesso luogo scelto per un concerto di Frank Zappa. La sera del concerto un maldestro fan di Zappa lanciò per aria un razzo segnaletico, mandando in fumo tutto il Casinò. Si narra che Roger Glover, guardando dalla finestra, vide tutto il fumo sopra il lago ed il cielo diventare di un rossastro pauroso. Nacque da quella visione Smoke on the Water. Finirono di registrare il disco sulla Rolling Stones Mobile.

Chiudono l’album la stupenda Lazy e Space Truckin’, che non tolgono nulla alle gemme precedenti.
Nel 1997, Machine Head venne rimasterizzato con l’aggiunta della ballata When a Blind Man Cries. Pezzone strappamutande che non avrebbe assolutamente sfigurato nell’album originale del 1972.

L’hard rock toccherà pochi punti più alti di Machine Head che, insieme al seguente live Made in Japan, chiude un’epoca d’oro per i Deep Purple.

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