Gojira
Fortitude
Roadrunner Records
30 aprile 2021
genere: post metal, thrash metal, death metal, metalcore
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Recensione a cura di Marco Calvarese
A distanza di cinque anni dal precedente album Magma, la band metalcore francese Gojira manda alle stampe, via Roadrunner Records, il suo settimo sigillo discografico intitolato Fortitude.
A cavallo tra fine e principio, nulla meglio dei Gojira può tradurre in musica la transizione e la continuità tra il vecchio e il nuovo. Ecco spiegato perché ho deciso di togliere un po’ di polvere dal loro ultimo successo e tradurlo in poche parole per chi ancora non avesse avuto il piacere di ascoltarlo.
Da anni, i francesi Gojira hanno levato l’ancora dal porto sicuro del thrash death per navigare nel mare aperto delle contaminazioni. L’LP precedente, Magma, già lasciava intravedere nuovi approdi, con le sonorità che si facevano più fluide e la band che acquisiva un mood riconoscibile con distillati di tech metal, groove e stoner infusi direttamente nel motore della nave, mentre le accordature e le distorsioni delle asce, nonché un timbro sempre meno growl, conferivano al sound contorni meglio definiti e un effetto complessivo post metal, liquido, futuristico e in linea con le tematiche ambientaliste dei brani. Se una qualche organicità si può intravedere nella produzione artistica di questa band, sta proprio nelle atmosfere che si confanno in modo quasi sinfonico alle tematiche care ai fratelli Duplantier.
Fortitude non si discosta da questo insieme di cliché, anzi lo enfatizza e, partendo da un solido nucleo ipnotico e tribale, deflagra come un Big Bang verso lo sconfinato universo del metal, per poi collassare in una sontuosa sintesi di tutto il Gojira style. Lo avvertiamo fin dalla titletrack: un bagno di sangue, pregno di una soluzione composta dai Sepultura di Roots (a cui il richiamo è udibile in diverse tracce), Meshuggah, White Zombie e Machine Head, e diluito in un solvente postmetal in cui si scioglie come sale anche la struttura compositiva tradizionale del brano, articolando i vari riff in modo libero e (altro solco indelebile nella galleria d’arte della band) progressivo. Il risultato è molto groovy e non permette mai all’orecchio di distrarsi: zucchero per chi ascolta, non solo per scatenare emozioni, ma anche per arricchirsi l’anima.
Queste caratteristiche le ritroveremo durante l’intero ascolto, ma c’è, in più, un elemento etnico che attraversa la release e che le conferisce una nota politica ancor più marcata, facendone quasi un concept: basti pensare che è stato scelto come titletrack (Fortitude) un breve coretto tribale accompagnato da basso, percussioni e arpeggio. Il senso è tutto racchiuso in Amazonia, nel suo incipit letteralmente strappato a Roots, nella scelta di strumenti non convenzionali e nel suo tappeto sonoro.
I Gojira sembrano man mano allontanarsi dalla chimica alternative delle recenti composizioni per recuperare il proprio spirito originario, sapientemente mixato con effetti, filtri e synth. Emblematico Another World, uno stupendo brano futuristico (accompagnato da un video animato davvero bello) che ci trascina alla velocità di un’astronave in ambientazioni fantascientifiche, con quel riff così ossessivo ed ipnotico.
Essere tanto sofisticati da far parlare perfino (in modo forse improprio, ma non a torto) di progressive metal ha i suoi pro e i suoi contro, soprattutto se un brano accattivante, atmosferico e appena più immediato come Hold On, aperto con un coro sul beat e strutturato in modo più semplice del solito, fa gridare qualche fan all’alto tradimento. Una traccia piacevole, che si lascia scolare come una birra fredda in una sera d’agosto: più orecchiabile, ma non meno articolato degli altri, con un passaggio di chiaro stampo Metallica e uno, davvero eccitante, condito da un riff in tapping.
Casomai, qualcosa da ridire su New Found, pezzo che sta in piedi grazie alla solita qualità ritmica (la prestazione di Mario dietro le pelli, in questo full length, è semplicemente granitica), ma non incanta nel riff portante; un po’ forzato nelle dissonanze e nei tempi, finisce per risultare stucchevole e ridondante. Ripetitività che, tuttavia, ha il merito di accrescere l’attesa e le aspettative di riscossa nel prosieguo dell’ascolto.
Obiettivamente, per quanto lontano dalle mie “affinità elettive” possa essere, ammetto che The Chant, sequel della titletrack, è la versione migliore e più “Gojira 2.0”, in chiave tibetana, di ciò che furono i Sepultura in chiave amazzonica: una trasposizione in puro stoner di un malinconico motivo etnico, diretta al cuore come una stilettata, musica al servizio di un messaggio di denuncia molto forte.
Da qui in poi, i ragazzi d’oltralpe riservano il miglior dessert immaginabile ai loro fan della prima ora: Sphinx è un’onda tellurica a cavallo tra thrash-death e thrash-core, che scuoterebbe le fondamenta di qualunque castello di certezze, mentre The Storm è già un classico del metalcore e, grazie alla fusione delle chitarre e ai cambi di tempo, reca la firma inconfondibile dei Gojira. Il tanto agognato headbanging si è fatto attendere più del previsto, ma finalmente possiamo scatenarci.
Si riprende un attimo fiato con la bellissima ballad intimista The Trails, distorsioni di matrice Seattle condite da reminiscenze melodiche di vago richiamo a mostri sacri di tutt’altra fattura come Nick Cave o (soprattutto) Peter Gabriel, per poi lasciarsi nuovamente andare alla tribal dance.
Grind (nomen omen) cala il sipario con un vero e proprio manifesto dei Gojira, capace di fondere ancora un thrash-death dall’aroma brasiliano, un impianto ritmico progressive e un metalcore modernissimo e fluido, sfumando in una lunga, malinconica ed evocativa coda arpeggiata che richiama l’attenzione sul significato profondo dell’intera opera.
Probabilmente, Fortitude non è né il miglior prodotto dei Gojira, né l’album dell’anno, ma è un disco dannatamente buono e di non facile ascolto; una summa della storia e dello stile Gojira in una fusione organica tra passato e futuro del metal, che ha spalle larghe abbastanza per traghettarci verso il nuovo anno. Che sia di buon auspicio per un 2022 di grande musica, all’altezza di quello appena passato. Stay loud!
Tracklist:
1. Born for One Thing
2. Amazonia
3. Another World
4. Hold On
5. New Found
6. Fortitude
7. The Chant
8. Sphinx
9. Into the Storm
10. The Trails
11. Grind
Membri della band:
Joe Duplantier: voce, chitarra
Mario Duplantier: batteria
Christian Andreu: chitarra
Jean-Michel Labadie: basso
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