I Hate My Village: recensione di Gibbone

I Hate My Village

Gibbone

6 agosto 2021

La Tempesta International

genere: afrobeat, elettronica sperimentale, fusion, etnica, psichedelia tribale, afrogarage

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

A due anni di distanza dall’esordio con l’album omonimo, torna il dream team tutto italiano I Hate My Village con il nuovo EP intitolato Gibbone, edito lo scorso 6 agosto per l’etichetta La Tempesta International.

Composto da quattro tracce, tre strumentali e una cantata (Yellowblack), il secondo capitolo discografico degli I Hate My Village (collettivo formato da Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion, Fabio Rondanini dei Calibro 35 e Afterhours, Marco Fasolo dei Jennifer Gentle e *Alberto Ferrari dei Verdena) riassume l’intersezione ritmica delle esperienze individuali dei quattro musicisti, i quali, mediante una costante ricerca artigianale e sperimentale, danno vita a quello che è, a tutti gli effetti, un fluido insieme di visioni e diversità artistiche racchiuse in un comune linguaggio dal sapore etnico.

Lo spartito degli I Hate My Village si materializza attraverso un caleidoscopio sonoro e cosmopolita dai solchi sabbiosi e legnosi, nel quale si intersecano multistrati di elettronica e psichedelia trascendentale, oscillazioni umorali breakbeat e drum’n’bass e fiammate afro-garage. Il tutto condensato all’interno di una mescola di territori fusion dalle temperature afose e umide, in cui riescono a liberarsi, nel loro espandersi tra curvature concave e convesse, la potenza della natura e la bestialità dell’essere umano.

Orchestrali e frizzanti jam session, danze indigene ipnotiche, tribalismi blues-western ossessivi, infuocate acrobazie e ritualismi etno-afro-jazz, dilatazioni ambient, alterazioni e distorsioni sintetiche, dove ogni ingrediente ribolle in un pentolone di suoni reiterati, colori primordiali e contaminazioni groove derivanti da Fela Kuti, Herbie Hancock, Chemical Brothers, Gorillaz e Calibro 35.

Un pentagramma coinvolgente, epidermico e poliritmico che si erge ad ombelico di tutta quella ricchezza espressiva e percussiva afrocentrica, celebrandone l’intensa volumetria istintiva e viscerale arrivando dalla terra direttamente allo stomaco, con radici che affondano nel parallelismo uomo-gibbone, nel colonialismo e nelle tradizioni letterarie terzomondiste etiopi e nigeriane. Quell’afro-beat nato come strumento di denuncia sociale, di critica al sistema, di ribellione, così simile a quel blues cresciuto nelle piantagioni di cotone.

Un avanguardismo ritmico, variopinto e selvaggio dai confini sempre più permeabili, che non è soltanto nostalgico intrattenimento, ma dal quale emerge quello stato d’animo claustrofobico che si genera quando si è costretti a dover convivere in luoghi chiusi e nel condividere dimensioni soffocanti; concept che aderisce alla lunga fase di pandemia che stiamo vivendo sulla nostra pelle, tra periodi di quarantena e lockdown. Dopo un anno in gabbia, solo ora si percepisce la sensazione, o l’illusione, che qualcosa stia ripartendo.

Gibbone raffigura il “villaggio globale” della contemporaneità, in un processo di circolarità temporale che, da un lato, si erge a raccordo tra passato analogico e presente-futuro digitalizzato, e dall’altro si fa metafora e paradigma della nostra epoca, riassumendo il principio di integrazione culturale prodotta dai mezzi di comunicazione di massa, sempre più inclini all’omologazione dei comportamenti umani e diretti verso l’utopia di liberarsi dalle catene e dalle gabbie del conformismo.

https://www.facebook.com/ihatemyvillage/

Tracklist:

1. Yellowblack

2. Gibbone

3. Ami

4. Hard Disk Surprize

Membri della band:

Adriano Viterbini: chitarra, voce

Fabio Rondanini: batteria, percussioni, synth

Marco Fasolo: basso

*Alberto Ferrari non è presente nel nuovo EP, ma si unirà alla band soltanto in sede live.

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