Lowrider: recensione di Refractions

Lowrider

Refractions

Blues Funeral Recordings

21 febbraio 2020

genere: stoner, doom, heavy psych, fuzz

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

Con il termine lowrider (espressione caratteristica della cultura Chicano, cioè della popolazione di origine messicana) negli Stati Uniti si intende una vettura con sospensioni modificate, spesso sostituite da altre di tipo idraulico. Cultura celebrata nella canzone Lowrider del gruppo funk War del 1975 e, parecchi anni dopo, dai Cypress Hill.

Un patrimonio culturale che, a metà degli anni Novanta, arrivò fino alla penisola scandinava, andando ad influenzare la musica dei Lowrider, stoner band svedese formatasi proprio nella seconda metà di quel decennio e con alle spalle uno split EP con i Nebula del 1999 e l’album d’esordio, Ode to Io, del 2000.

Dopo quell’entusiasmante debutto discografico, i Lowrider che, a seguito dello scioglimento dei Kyuss, band icona di quel genere, sembravano aver raccolto parte di quell’eredità, inspiegabilmente sparirono dai radar senza lasciare tracce, come una effimera meteora. Eccezion fatta per il bassista e cantante Peter Bergstrand, il quale, all’inizio del nuovo secolo, continuò a pubblicare dischi con i Greenleaf, altro storico gruppo stoner svedese.

Insomma, la Svezia, in quel momento, sembrava essere diventata un terreno fertile alternativo e valido per piantare e far fiorire di nuovo il seme lisergico della Sky Valley. E difatti così fu, grazie anche all’attività di gruppi come Dozer, Monolord e i succitati Greenleaf.

Ma, quando meno te l’aspetti, come in quelle carrambate alla Raffaella Carrà, ecco che a volte ritornano. Ebbene si, a distanza di vent’anni da Ode to Io (sperando che non ne debbano passare altrettanti per il prossimo capitolo), i Lowrider si riaffacciano (nemmeno reincarnassero la parabola del figliol prodigo) sulla scena heavy stoner con quello che è, a tutti gli effetti, il loro secondo disco, dal titolo Refractions, release edita per Blues Funeral Recordings e composta da sei tracce, di cui una strumentale (Sun Devil/ M87) ed il reprise di Ol’ Mule Pipe, che promette di essere uno degli episodi “stoner rock psichedelici” più eccitanti dell’anno in corso.

Quando parliamo di Lowrider, la mente va immediatamente al deserto, ad un paesaggio sconfinato fatto solo di dune sabbiose, rocciose e caratterizzato da scarse precipitazioni. E che sia caldo o freddo, è da sempre metafora psichedelica e letteraria di abbandono e solitudine. Tematiche come abbandono e psichedelia, nel caso dei Lowrider, calzano davvero a pannello.

Refractions rappresenta, dunque, una seconda vita artistica per la formazione scandinava; una seconda opportunità che gli ha permesso di ritrovare l’ispirazione per ricreare le sonorità di quel desert rock classico impregnato di trip acidi e carico di riff esplosivi e fangosi, tra accordature basse e ronzanti, groove psichedelici (a tratti addirittura funkeggianti) ed atmosfere cosmiche, cupe ed ovattate, accelerando e decelerando su quei pedali fuzz e wah wah, così tanto da far impallidire virtuosi come Tony Iommi, Kirk Hammett e Zakk Wylde.

Questa è la rifrazione dei Lowrider: le loro curve sonore hanno attraversato superfici quali spazio e tempo per rimodellarsi e cambiare la velocità di propagazione: onde rifratte che partono dalle radici blues di Doors, Jimi Hendrix, Led Zeppelin e Black Sabbath, per andare a deviare il proprio fascio luminoso sugli anni Ottanta e Novanta, riprendendo gli spostamenti e la profondità di gruppi come Jane’s Addiction, Kyuss, Fu Manchu, Nebula ed Alice In Chains.

Insomma, sono trascorsi vent’anni eppure nulla sembra mutato, un po’ come guardarsi indietro e scoprire che le cose sono rimaste lì, dove le avevamo lasciate, ancora aggrappate alle dinamiche del passato e legate da un cordone ombelicale virtuale che nessuno ha mai voluto recidere del tutto.

Refractions è un ritorno in pompa magna: la band svedese, evidentemente, ha fatto tesoro di questo ventennio sabbatico ed ha ricominciato a seguire la corrente impetuosa di quel fiume rosso, simbolo di vita che scorre e si rinnova, come l’alba rosso fuoco di un nuovo giorno, ma anche come un confine ignoto da valicare.

Membri della band:

Peter Bergstrand: basso, voce

Ola Hellquist: chitarra solista, voce

Niclas Stålfors: chitarra

Andreas Ericsson: batteria

Tracklist:

1. Red River

2. Ode to Ganymede

3. Sernanders Krog

4. Ol’ Mule Pepe

5. Sun Devil/M87

6. Pipe Rider

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