Machine Head
Unatøned
Nuclear Blast Records
25 aprile 2025
genere: groove metal, nu metal, post-thrash metal
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Recensione a cura di Marco Calvarese
Robb Flynn è tornato. Decidete voi se questo suoni come una promessa o una minaccia, ma lo straripante artista di Oakland non sembra trovar pace senza sfornare album, anche quando avrebbe tutti gli indicatori per capire che non se ne avverte il bisogno.
Eppure, ecco qui Unatøned, undicesima fatica di una band, i Machine Head, che ormai somiglia sempre più al progetto personale del poliedrico e bizzoso frontman, soprattutto dopo l’ennesimo come out, stavolta, tra l’altro, di un membro ingombrante come Vogg (tornato ad occuparsi full time dei suoi Decapitated).
Confermato l’ottimo Alston dietro le pelli (a mio avviso fiore all’occhiello del disco), come nuovo session man è stato scelto Reese Scruggs, che per quanto egregio segna comunque un passo indietro in termini di bilanciamento, potenza e songwriting, lasciando mano libera al leader nella sua ricorrente rincorsa della melodia. Non che questo mi dia fastidio, tout court: se fosse ispirata e aggiungesse sapidità e freschezza al risultato, ne sarei alquanto felice.
Purtroppo non è sempre così, ma questo a Robb non sembra interessare: ecco allora che, fin dal brevissimo preludio Landscape Of Thorns, fa la sua comparsa il pianoforte, che poi si ergerà addirittura a protagonista nella closing-track Scorn, chiudendo così il cerchio. E, se la seconda traccia Atomic Revelations riporta un po’ in auge la struttura sonora della golden age, non si può dire altrettanto per Unbound, episodio di cui Flynn si è inspiegabilmente innamorato al punto da farlo uscire come primo singolo. Purtroppo, non mi trasmette nulla, anzi trovo sia parecchio banale nel riffing e ripetitivo nell’immancabile ritornello melodico.
A questo punto, dopo dieci minuti di sentimenti contrastanti, mi sorge spontanea qualche riflessione, che a scatola chiusa avevo deciso di accantonare per preservare neutralità di giudizio: diciamo subito che Unatøned era un disco con aspettative zero per svariate ragioni, non ultima l’ormai consolidata tradizione di alternare album di livello e dischi semiseri. D’altro canto, non si può certo dire che i Machine Head difettino di un marchio di fabbrica: anche Unatøned, infatti, suona MH al 100%, pur con qualche ritocco qua e là, perché della band reca con sé tutti i pregi e i difetti.
Lasciatemi anche dire che il disco si presenta proprio bene, con una cover che richiama appieno il suo predecessore Of Kingdom And Crown: almeno nell’immagine, quindi, Robb vorrebbe dare continuità al discorso aperto tre anni fa. Tuttavia, come detto, non occorre più di qualche minuto per capire che le cose non stanno proprio così.
Noto sin dal primo ascolto un ritorno verso il songwriting di Catharsis, ma stavolta arrangiato in modo ammirevole. Non a caso il lavoro di sound engineering è stato curato da Colin Richardson, storico maestro del suono della band stessa, nonché di Carcass, Cannibal Corpse, Overkill, Kreator: insomma, non esattamente l’ultimo arrivato.
Per cui effettistica, uso del synth, arrangiamento di parti tirate e atmosferiche suonano più fluidi, gradevoli nel percorso dalle cuffie ai miei neuroni, e già questo mi fa tirare un sospiro di sollievo: riesco a mandare in onda la prossima traccia, Outsider, che considero, oltre che uno dei migliori brani dell’opera, un modello calzante per queste osservazioni.
L’effetto complessivo è un ascolto leggero e gradevole, nonostante oscilli tra alcuni passaggi a vuoto (l’esile Bonescraper) ed altri più esaltanti che solleticano la memoria (Addicted To Pain o anche This Scars Won’t Define Us). E se da un lato melodia fa rima con malinconia e trova la vena giusta per esprimersi al meglio, come in Not Long For This World, dall’altro, invece, sfugge al controllo e scivola nella radiofonia, come appunto nella orecchiabile Scorn, per non parlare poi dell’inutile electro-ambient di Dustmaker.
Il tutto, però, assemblato in modo intelligente, sembra trovare inaspettatamente un filo logico, tanto è vero che, portato a termine il primo ascolto, mi sorprendo di non aver ancora maledetto le paturnie di Robb, a differenza di quanto accadde sette anni fa con Catharsis.
Infatti, Unatøned, pur essendo profondamente meno tradizionale e potente del suo predecessore, mostra pregevoli eccezioni come Shards Of Shattered Dreams (una bella “tramvata” old style), e al netto di evidenti sentori nu-metal e di un’attenzione alla melodia che sfocia nel pop senza fare una piega, non degenera mai ed ha un suo perché. Gran parte del merito lo attribuisco a chi ne ha curato il suono: provate ad ascoltare la poliedrica Bleeding Me Dry e ne avrete conferma.
Robb, del resto, pare avere veramente tanto da dire, forse troppo, vista la verbosità prolissa dei suoi testi e la sua voce a tratti invadente. Ma questo è Robb: prendere o lasciare. Qualche assolo di squisito thrash-metal ci ripaga della nostra pazienza. Nell’alternanza tra album da fuoriclasse e altri meno incisivi trova, e man mano che si dipanano le tracce, fuoriesce tutta la passione di Flynn per il crossover unconventional (ricordo un’animata discussione, in tour, con Kerry King – non esattamente un esempio di tolleranza – dovuta proprio a queste inclinazioni).
In conclusione: Unatøned non è l’eccezione che avremmo auspicato, però non è neppure il disco che vi farà maledire tempo e soldi buttati. Non a me, che l’ho ascoltato a cuor leggero e, in tutta sincerità, con piacere, ma che non ci ho speso (né lo farò) una lira. Ma, credetemi, neppure a voi, se doveste decidere di buttarci un orecchio. Se dovessi assegnare un voto, darei che una dignitosa sufficienza, ma poteva andare molto peggio.
Tracklist:
01. Landscape of Thorns 02. Atomic Revelations 03. Unbound 04. Outsider 05. Not Long for This World 06. These Scars Won’t Define Us 07. Dustmaker 08. Bonescraper 09. Addicted to Pain 10. Bleeding Me Dry 11. Shards of Shattered Dreams 12. Scorn
Lineup:
Robb Flynn – voce, chitarra
Jared MacEachern – basso, backing vocals
Matt Alston – batteria
Reese Scruggs – chitarra
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