Megadeth: recensione di The Sick, The Dying… And The Dead

Megadeth

The Sick, The Dying… And The Dead

Tradecraft/Universal Records

2 settembre 2022

genere: thrash metal

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Recensione a cura di Marco Calvarese

I Megadeth sono di nuovo in pista, a distanza di ben sei anni dall’ultima comparsa in studio. Un ritorno ben più che atteso, perché quando una simile band sforna un nuovo album – soprattutto alla luce delle vicissitudini che l’hanno afflitta, dalla malattia di Dave Mustaine fino al recente e rumoroso divorzio con l’altro superstite storico, David Hellefson – l’hype non può che essere elevatissimo.

Occorre subito dire che, con The Sick, The Dying… And The Dead (sedicesimo prodotto discografico), Dave e i suoi nuovi compagni d’avventura si mostrano in buono spolvero e rivendicano, a pieno titolo, lo scettro del thrash tradizionale, in virtù di un lavoro che, sia pure con qualche stonatura, non può che deliziare occhi e orecchie della vasta fanbase.

L’opera cattura, infatti, sin dalla copertina, con il primo piano di Vic Rattlehead che richiama atmosfere da western distopico (come non sentire l’assonanza del titolo con il capolavoro “Il buono, il brutto e il cattivo“?) e, fin dai primi giri del disco sul piatto, evidenzia alcuni tratti salienti che è bene descrivere da subito per farci un’idea di quello che ci aspetta.

Quello che sto ascoltando è un prodotto 100% Megadeth, nel sound, nella struttura compositiva, negli assoli che farciscono i bridge, nonché per la precisione chirurgica e la cura dei dettagli negli arrangiamenti che hanno fatto la fortuna della band. The Sick, The Dying… And The Dead richiama molto i successi del passato in certe atmosfere e nelle armonizzazioni, ma non mancano elementi di modernità, soprattutto nei riff taglienti dei singoli che hanno preceduto l’album, oggettivamente ben selezionati perché sono, proprio grazie alle asce, i frame più impattanti di questa fatica discografica.

Il songwriting, a mio avviso, è degno dei tempi migliori: Mustaine sembra avere davvero tanto da dire e alcuni brani sono composti proprio in modo da lasciare spazio alla narrazione. C’è, inoltre, una ispirazione ritrovata nella scelta e nella cura delle melodie vocali, decisamente più varie che nel recente passato, anche e soprattutto rispetto a Dystopia (bello, ma a mio modesto avviso sopravvalutato).

L’intesa tra Dave e l’ormai fido Kiko Loureiro e tra Dirk Verbeuren e il session man Steve DiGiorgio (Testament – davvero efficaci le sue linee di basso) amalgamano l’impatto sonoro globale rendendo un effetto cupo e graffiante, che ben si confà sia con le tematiche dell’album, sia con lo spirito e la voce del leader.

Il risultato finale è piacevole, a tratti emozionante, ma non travolgente: troppi cali di tono e di ispirazione per gridare al capolavoro. Inoltre, il gradito richiamo alle sonorità dei tempi d’oro nasconde sempre un’insidia: cavalca, inevitabilmente, una sottile linea di confine con il “già sentito” e qui, spesso, la oltrepassa, come nella pur godibilissima Sacrifice o nel vintage speed di Celebutante (in cui sento la rabbia galoppante degli esordi di Killing Is My Business…).

Il combinato disposto di tutte queste contraddizioni è l’eccessiva frequenza con cui si alternano perle degne di essere inserite in un ‘best of’ (colpiscono soprattutto i due estratti, Night Stalkers e la closing track We’ll Be Back, davvero devastanti), tracce perfettamente calate nel solco storico scavato dai Megadeth, come la title track (che, per inciso, contiene il più bell’assolo del disco), Killing Time (di cui Psychopaty rappresenta solo un’intro), che per sonorità potrebbe comodamente ben figurare in Countdown To Extinction, e l’innovativa Soldier On!, resa unica da un tapping clamoroso, e frame di contorno che, dal secondo ascolto in poi, inducono a saltare al brano successivo (vedi la tiratissima ma un po’ piatta Life In Hell, l’anonima Junkie o la punkeggiante Mission To Mars, imbottita di campionamenti e ‘ripresa’ un po’ con un finale da headbanging).

Il livello tecnico di quello che ormai è un supergruppo, di cui Dave è l’unico superstite della golden age, è sublime e non manca di impreziosire l’intera release, valorizzando anche brani altrimenti poco incisivi (vedi il low-tempo dell’articolata Dogs Of Chernobyl). D la menzionare, inoltre, il featuring con il rapper Ice-T in Night Stalkers (senza lasciare grandi tracce di sé) e la presenza, come bonus track, di due gustose cover nella versione digipack: Police Truck dei Dead Kennedys e This Planet’s On Fire (Burn In Hell) di Sammy Hagar.

The Sick, The Dying… And The Dead è un caleidoscopio di qualità e nostalgia, rimpianti ed emozioni contrastanti, che risulterà imperdibile per i fan della prima ora (a patto che non vi aspettiate le vette di Rust In Peace), perché si tratta di un gradito ritorno, fatto di ottima musica eseguita con maestria e perfezionismo e, soprattutto, perché dopo aver navigato un po’ a vista e cercato strade nuove da percorrere con alterne fortune, i Megadeth sembrano aver ritrovato se stessi e fatto pace col proprio ingombrante passato.

Tracklist:

01. The Sick, The Dying… And The Dead!
02. Life In Hell
03. Night Stalkers (feat. Ice-T)
04. Dogs Of Chernobyl
05. Sacrifice
06. Junkie
07. Psychopathy
08. Killing Time
09. Soldier On!
10. Célebutante
11. Mission To Mars
12. We’ll Be Back

Membri della band:

Dave Mustaine – voce, chitarra
Kiko Loureiro – chitarra
Steve DiGiorgio – basso
Dirk Verbeuren- batteria

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