Machine Head
Of Kingdom And Crown
Nuclear Blast, Imperium Recordings
26 agosto 2022
genere: groove metal, thrash metal
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Recensione a cura di Marco Calvarese
Finisco il secondo ascolto di Of Kingdom and Crown – decima fatica discografica dei Machine Head fresca di stampa – e ancora non ho la più pallida idea da dove cominciare: per me la musica è sempre stata fonte di forti emozioni, cosicché, dopo essermi ripetuto più volte “ok, bellissimo, ma non il loro capolavoro”, il mio animo è riuscito a catturare, finalmente, significato e valore intrinseco dell’opera, prima ancora di apprezzarne i contenuti tematici, tecnici e stilistici.
Ecco il primo suggerimento che vi posso dare: quando vi metterete all’ascolto di Of Kingdom And Crown, provate a “sentire”, oltre che ascoltare. I fan di vecchia data non faranno fatica a capire. D’accordo, questa release ha avuto un periodo di gestazione lungo due anni, dunque molta roba la conosciamo già, ma ciò non giustifica alcuna forma di snobismo nei suoi confronti: i tre singoli e l’EP pubblicati dal 2020 ad oggi ci hanno fatto leccare i baffi, ma, come tessere di un puzzle, non potevano in alcun mondo renderci la bellezza d’insieme.
Beh, adesso il puzzle è completo. Meno immediato e stupefacente di un Burn My Eyes, ma forse più tecnico e maturo: Of Kingdom and Crown è un quadro da incorniciare, concepito come un concept e liberamente ispirato a una serie anime. Narra di due figure mitologiche denominate Ares ed Eros, abbrutite dal dolore e trascinate nel vortice di un futuro distopico, sanguinario e violento. Un coacervo di introspezione e brutalità cui ben si addice la musica espressa dai rinnovatissimi Machine Head (salta subito all’occhio la collaborazione con Vogg, già protagonista dello strepitoso Cancer Culture con i suoi Decapitated).
Un impianto strumentale che, intriso di sezioni melodiche sapientemente amalgamate a diverse influenze thrash (ma non solo), si appoggia sul più tradizionale dei riff-based groove, spaziando tra classici cambi di tempo e l’abilità nel selezionare armonie vocali da parte di Rob Flynn, che in quest’occasione sembra raggiungere il suo zenith creativo.
Of Kingdom And Crown, nel suo tappeto sonoro composto da tredici tracce, si presenta come un’opera organica suddivisibile in quattro atti, definiti e tenuti insieme da tre interludi, nei quali prevalgono, in maniera alterna, violenza inaudita e disperazione, così come accade nell’animo dei due protagonisti immaginari.
Già divorato dalla curiosità, e invogliato da una cover bellissima aderente alla trama del concept, vengo immediatamente trascinato in una spirale di depressione reattiva dalla lunghissima opening track, Slaughter The Martyr, la quale riassume l’intera struttura sonora del disco: tre minuti di intro arpeggiato e un’incantevole melodia vocale finiscono per aprirsi a tutto il meglio del repertorio Machine Head, con un riff devastante supportato da cambi di tempo groovy e fraseggi di puro thrash alternati a influssi nu metal, quasi a voler rievocare l’intero percorso artistico di Rob Flynn, attraverso una fusione a caldo della durata di dieci minuti e mezzo.
Qui si macina classe e non c’è tempo per fermarsi a riflettere: Choke On The Ashes Of Your Hate ti afferra dalla prima nota e ti sbatte contro il muro con la veemenza thrash degli Exodus più feroci, ma con il sound, la voce e le melodie tipiche di Flynn. L’effetto è destabilizzante e posso già immaginare il mosh pit durante un loro concerto! Become The Firestorm prosegue nel solco del blast beat e trova nuova luce nello splendido assolo di puro thrash metal, per poi tirare il fiato, necessariamente, con Overdose, il primo interludio.
Consci del decesso della madre di Eros (tornando alla narrazione simbolica dell’album), My Hands Are Empty elabora il lutto con un coro funebre da brividi, che accompagnerà, successivamente, tutte le parti melodiche del brano, evidenziando un intricato mix di violenza e tecnica. Scivoliamo, così, in Unhallowed, con la sensazione di essere arrivati al cuore pulsante di Of Kingdom And Crown; un cuore melodico e malinconico in cui Rob esalta il suo cantato pulito, spezzandolo con un riff che suona un po’ Gojira, uno di quelli che ti si inietta sottocute e non ti lascia più. Se ascoltassimo questa canzone al di fuori del contesto generale – ovvero come singolo – potrebbe risultare piacevole ma nulla di più. Se la ascolteremo, invece, seguendo la consecutio narrativa del concept, allora le emozioni ci esploderanno dentro.
Assimilate non è che il preludio rabbioso alla terza parte dell’album, la più thrash e diretta, che si apre con Kill Thy Enemy, forse l’episodio meno esaltante dell’opera: come se i vecchi Sepultura avessero prodotto una jam con le corde dei Gojira, fatte salve le brevi frame melodiche. Le stesse contaminazioni che colgo nel suono liquido e futuristico della trascinante No Gods, No Masters; un moto di ribellione scavato con le unghie e una brutalità distorsiva sapientemente arrangiata con cori e timbriche immediate (aspetto che in parte caratterizza l’andamento fonico di questo nuovo take discografico).
Non c’è speranza di riuscire a staccarsi da un ascolto che macera dentro, che strazia fin quasi a sfiorare il dolore, ma che induce comunque a continuare, a girare un’altra pagina per scoprire il seguito, come nei migliori romanzi di Stephen King: Bloodshot ci attende con un ritornello letteralmente rubato ai Sepultura di Max Cavalera, ma con una struttura e un paio di riff degni dei migliori Machine Head.
Headbanging praticamente automatico, obbligato e senza tregua, così come in Rotten, altra mazzata tra capo e collo; un pezzo dall’impronta inconfondibile, seppur troppo debitore nei confronti di Cavalera, con un riff così trascinante da avermi fatto gridare al miracoloso ritorno quando fu pubblicato la scorsa estate, ma che ora, incastonato nel mosaico complessivo, mi sembra persino troppo semplice. Terminus, terzo interludio, apre l’ultimo atto mutando nuovamente la scenografia: l’arpeggio delicato che apre Arrows In Words From The Sky, l’espressiva e contagiosa malinconia delle melodie, i ritmi cadenzati e un assolo decisamente classic metal toccano le mie corde interiori, strappandomi l’ultimo sussulto di commozione.
Da sottolineare le due bonus tracks presenti nella versione digipak: la strumentale Exteroception, un dannato e riuscitissimo groove thrash le cui distorsioni massicce non possono non far gridare alla bella incompiuta (“ah se ci fosse anche la voce…”), e la versione acustica di Arrows In Words From The Sky, per gli amanti del genere e per apprezzare al meglio il songwriting di Flynn.
In conclusione: dopo aver asciugato le lacrime e ritrovato un barlume di lucidità, il mio giudizio è ancor più convinto: Of Kingdom And Crown è uno dei capitoli più completi, intensi e maturi dei Machine Head. Semplicemente imperdibile.
Tracklist:
1. SLAUGHTER THE MARTYR
2. CHØKE ØN THE ASHES ØF YØUR HATE
3. BECØME THE FIRESTØRM
4. ØVERDØSE
5. MY HANDS ARE EMPTY
6. UNHALLØWED
7. ASSIMILATE
8. KILL THY ENEMIES
9. NØ GØDS, NØ MASTERS
10. BLØØDSHØT
11. RØTTEN
12. TERMINUS
13. ARRØWS IN WØRDS FRØM THE SKY
Membri della band:
Robb Flynn – voce, chitarra
Wacław “Vogg” Kiełtyka – chitarra
Jared MacEachern – basso, cori, voce
Navene Koperweis – batteria
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