Nebula: recensione di Transmission From Mothership Earth

Nebula

Transmission From Mothership Earth

Heavy Psych Sounds

22 luglio 2023

genere: psych blues, stoner, doom, acid blues, space rock, hardcore punk, folk western

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

A distanza di tre anni dal precedente Holy Shit, il gruppo psych stoner losangelino Nebula – fondato nel 1997 e attualmente composto dall’ex Fu Manchu Eddie Glass alla chitarra (unico superstite della band originaria), Tom Davies al basso e Mike Amster alla batteria – ha rilasciato il suo settimo album in studio intitolato Transmission From Mothership Earth, edito per Heavy Psych Sounds (l’etichetta romana di Gabriele Fiori, chitarrista e cantante dei Black Rainbows) e anticipato dall’uscita dei singoli Highwired e The Four Horsemen.

Registrato e prodotto tra le dune roventi, sabbiose e rocciose del deserto californiano del Mojave – entroterra arido e dai riflessi marziali che ha visto nascere la primigenia scena stoner di Palm Desert – i Nebula riprendono le loro trasmissioni intergalattiche dalla nave madre Sky Valley, direttamente dal cuore pulsante di quella catena montuosa che della Sierra Nevada si dirige verso l’immaginario onirico della West Coast, per poi tuffarsi nelle onde cristalline e ruggenti del Pacifico.

Così, il collettivo capitanato da Eddie Glass, pur avendo mitigato quel legame con la sfera hardcore punk delle prime pubblicazioni, continua ad alimentare il proprio trademark compositivo, a scavare nel sottosuolo di una miniera che – probabilmente – ha ancora diamanti grezzi da poter estrarre e portare alla luce: un calligrafismo strumentale tanto vasto ed etereo quanto concreto e tangibile, che riecheggia tra le lande visionarie di quelle vallate magiche e gli sconfinati paesaggi di un deserto già metafora letteraria di abbandono e solitudine, financo espressione spirituale e luogo dell’anima.

All’interno di Transmission From Mothership Earth, oltre al sound di evidente impronta Kyuss, Yawning Man, Electric Wizard e Sleep – in quella sua miscela chimica intrisa di influenze stilistiche dal retrogusto vintage e satura di accordature basse, slabbrate e ronzanti – troviamo anche (soprattutto) riferimenti a quel proto-doom heavy di matrice Black Sabbath: ad esempio, il main riff di Highwired ricalca in carta carbone la manualità artigianale di un totem sacro come Tony Iommi.

Indipendentemente da un assetto scritturale pseudo passatista barra nostalgico, i Nebula riescono a dare asilo a diverse sfaccettature del rock, con flessibilità, duttilità e capacità di rigenerarsi, andando a conferire maggiore profondità al loro spettro sonoro: le otto tracce di Transmission From Mothership Earth – come fossero altrettante torce impregnate di resina che emanano nuvole di fumo nero e un odore penetrante di oleandro – prendono forma tra ritmiche incendiarie, espansive, ipnotiche e spaziali di rimando Monster Magnet (Wilted Flowers, I Got So High), a cui si aggiungono quel “flower power” oscuro e pachidermico degli Iron Butterfly (Melt Your Head), effetti sonori al rallentatore che rievocano le corse bioniche in slow motion di Steve Austin (Warzone Speedwulf) ed ampi delay e riverberi di fantasie extrasensoriali alla Isaac Asimov.

Un intenso trip proteiforme di atmosfere circolari, narcotiche, allucinate, dilatate e fluttuanti come asteroidi acid-psych dei cosiddetti sixties, dove vocalità ovattate, filtrate, magnetiche e al contempo melodiche si lasciano incorniciare da trame lisergiche dalle tonalità hard blues e psych-garage hendrixiane (Existential Blues), finendo per tramutarsi in qualcosa di più intimo e riflessivo, quasi a voler riprendere il controllo delle briglie per decelerare e ritrovare una forma di ordine, meditando fughe estatiche e frenetismi di natura folk western (The Four Horsemen), attraverso quei solchi lunari generati da meteoriti hawkwindiani.

Risintonizzandosi su frequenze analogiche provenienti da quella fisionomia strumentale che rimanda inequivocabilmente a certo groove psichedelico di fine ’60 e primi anni ’70 – consegnandosi, così, alla sapienza conservativa degli antichi manoscritti del genere – i Nebula sembrano quasi voler sottolineare la mancanza di prospettive della contemporaneità, focalizzandosi su quell’ostinazione di viste corte che, per mascherare l’incapacità di crearci una pelle nuova, ci spinge ad andare con vecchie bustine di semi in giro per il mondo, alla ricerca di appezzamenti di terreno identici a quelli esistenti tanto tempo fa, inseguendo – controcorrente – l’obiettivo utopico che qualcosa possa tornare com’era una volta.

facebook/Nebula

Membri della band:

Eddie Glass: chitarra

Tom Davies: basso

Mike Amster: batteria

Tracklist:

1. Highwired

2. Transmission From Mothership Earth

3. Wilted Flowers

4. Melt Your Head

5. Warzone Speedwulf

6. I Got So High

7. Existential Blues

8. The Four Horsemen

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