The Doors: recensione di Morrison Hotel – 9 febbraio 1970

Ricorrono quest’anno i 50 anni dalla pubblicazione di un album cardine della musica rock.
Siamo nel 1970 e il 9 febbraio, i Doors, presentano al mondo Morrison Hotel.
Album mistico, intriso di mistero e spiritualità, che ha delle curiosità a partire già dalla sua composizione.
Diviso in due parti, ognuna delle quali ha titoli diversi: il primo è Hard Rock Cafè e il secondo Morrison Hotel, appunto.
Ad entrambe sono state dedicate due copertine distinte e separate.

Se fate scorrere la punta del giradischi sull’album, come traccia introduttiva sentirete la fantasmagorica Roadhouse Blues.
Come dichiarato già nel titolo, è un pezzo interamente blues che, con tanto di armonica e piano, fa riferimento ai primordiali esempi di musica black, che con difficoltà si discostavano dalla radice gospel da cui provenivano.
Il ritornello tonante “Let it roll, all night long“, che impregna la canzone di seduzione, ci trasporta nella dimensione californiana, culla natale dei Doors.

Addentrandoci tra le note blueseggianti di Morrison Hotel, troviamo Waiting For The Sun.
Suoni distorti e melodie tinteggiate di follia sembrano riportare alla ribalta le sensazioni degli effetti lisergici. Sostenitrici anche le parole quasi recitate di Jim Morrison.
Una litania morbosa, una cantilena ben suonata da quattro ragazzi alla ricerca della percezione perfetta.

There’s blood in the streets” è l’esclamazione di esordio di Peace Frog, la traccia numero 4, perno dell’album e unica canzone che esprime tematiche politiche, affrontando il tema dei movimenti giovanili statunitensi alla fine degli anni ’60. Scritta a quattro mani da Jim Morrison e il chitarrista Robbie Krieger, Peace Frog ha una struttura melodica organizzata tra l’organo di Manzarek, che porta avanti il ritornello principale, e gli intermezzi di Krieger alla chitarra, che contribuiscono a rendere la canzone la perfetta colonna sonora per un giro nel deserto.
Peace Frog, ad un certo punto, interrompe il suo palpito spasmodico per lasciare spazio alla voce del Re Lucertola, il quale recita un passo di una sua famosa poesia, che riporta un’esperienza vissuta dal Jim bambino.

La traccia numero 9 è una bellissima ballata d’amore, dedicata probabilmente a Pamela, storica compagna di Morrison. Scritta nuovamente da Jim insieme a Krieger, Queen of The Highway non perde la linea blues, né la voce tormentata e suadente del suo carismatico interprete. Densmore e Manzarek, superbi accompagnatori, uno alla batteria, l’altro all’organo Hammond e al basso, sono complici in questo meraviglioso intrigo chiamato Doors.

Indian Summer, tra le tracce finali di Morrison Hotel, sembra ricordare la meravigliosa The End.
Teneramente accennata, tutti gli strumenti sono ridotti ad una carezza che non lascia scampo.

Ricordando al mondo che i Doors hanno spianato la strada agli artisti venuti in seguito, facendo da ponte tra il mondo virtuoso del blues e l’universo vizioso del rock, si chiude così Morrison Hotel uno di quei capolavori senza tempo della musica rock che proprio quest’anno celebrano il loro mezzo secolo di vita.

Let it roll, all night long!

Simona Iannotti

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