KOKOROKO: recensione di Could We Be More

KOKOROKO

Could We Be More

Brownswood Records

5 agosto 2022

genere: afrobeat, psichedelia jazz, etnica, world music, fusion, space age, R&B contemporaneo, reggae

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

“La libertà è la possibilità d’essere e non l’obbligo d’essere.” – René Magritte

In attività da soli quattro anni e già con tre singoli e un EP omonimo di grande successo alle spalle, il collettivo afrobeat londinese KOKOROKO manda alle stampe il suo album d’esordio intitolato Could We Be More, edito per Brownswood Records e anticipato dall’uscita del singolo We Give Thanks.

I KOKOROKO sono un ensemble multietnico, per metà con origini africane e per l’altra metà con radici caraibiche, che si compone di otto elementi: la leader e trombettista Sheila Maurice-Grey, la sassofonista Cassie Kinoshi, la trombonista Richie Seivwright, il tastierista Yohan Kebede, il chitarrista Tobi Adenaike, il batterista Ayo Salawu, il percussionista Onome Ighamre Edgeworth e il bassista Mutale Chashi.

L’artwork del disco raffigura quattro mani che, disposte come fossero i quattro punti cardinali, si affidano all’ascendente mistico del cielo e della terra, rivolgendosi all’unisono in direzione di un immaginario crocevia di linguaggi e contaminazioni. Così, le quindici tracce di Could We Be More – quasi a voler simboleggiare un concetto di unione universale – danno vita a un’elegante e godibile avventura antropologica; una visione world music inebriante, intrisa di intensi fotogrammi fusion, dove vivaci affreschi funk-soul si mescolano a semenze ritmiche che affondano le proprie radici negli ammalianti dettami dell’afrobeat, fino a concedersi il vezzo di un suggestivo mix tra le ambrate fumosità jazz-lounge di una Manhattan di fine anni ’50, i riverberi sornioni del reggae giamaicano, le dilatazioni sciamaniche della psichedelia etnica, certe sonorizzazioni cinematiche degli anni ’60 e ’70 (riconducibili a Stefano Torossi e Isaac Hayes) e gli esotismi balsamici dell’R&B contemporaneo.

Nel contrasto bifocale tra fecondità produttiva di retrospettiva occidentale e un profondo sentimento di riverenza nei confronti della tradizione musicale del popolo africano – di quel roots-folk che rievoca nomi illustri dell’ambiente afrobeat e spiritual quali Fela Kuti, Tony Allen, Herbie Hancock e Rokia Traoré – la “tribù” dei KOKOROKO continua ad alimentare la propria fertilità compositiva – ormai trademark strumentale di una fisionomia identitaria e passionale – sprigionando un flusso dinamico, brillante, effervescente, taumaturgico e raffinato come una collana di perle colorate.

Could We Be More prende forma tra i misteriosi e affascinanti vicoli dell’improvvisazione, nel contatto viscerale che lega sia passato e presente, sia paesi geograficamente lontani tra loro (Ghana, Nigeria, St. Vincent e Barbados), sviluppandosi attraverso i solchi di uno spartito cosmopolita dai riflessi sabbiosi e legnosi, in cui vènti di scirocco subsahariani soffiano sulle correnti del Mar Mediterraneo, per poi spingersi alla volta di sponde oltreoceaniche a respirare l’indolente freschezza di atmosfere tropicali del calypso-space, godendo di tutta quella ricchezza eterogenea di profumi provenienti da ogni angolo del pianeta, che ci attraversano come il sole fa con le vetrate o le fessure delle persiane.

L’aria della release si impregna di polverine magiche per sognare e di un intenso aroma di caffè tostato (cosi la descriverebbe Isabel Allende), di un’andata fatta di territori rudimentali e di un ritorno all’urbanità metropolitana dei nostri giorni, da cui germogliano tante piccole oasi dal colore di tè al latte e una flora emozionale che sa di fantasia, romanticismo e generosità, in cui il vero prodotto – al di là delle poliedriche stratificazioni sonore – viene condensato nella libertà stilistica di un autentico concerto di voci assortite e danze etno-funk dalle movenze leggiadre e armoniose.

Con la realizzazione di questo primo full-lenght, i KOKOROKO sembrano quasi invocare un risveglio delle coscienze e di quel sentimento di aggregazione che, gradualmente, è stato messo sempre più in disparte. D’altronde, il reale obiettivo del nostro viaggiare – inteso come percorso esistenziale – si dovrebbe focalizzare sulla conoscenza della storia, sul nutrimento della nostra curiosità e su quello che dovrebbe essere un sincero e leale confronto tra differenti usi e costumi, confidando in quel dono estemporaneo che permette ancora di meravigliarsi e stupirsi dinanzi alla purezza delle proprie radici.

facebook/kokoroko

Membri della band:

Sheila Maurice-Grey, trombettista; Cassie Kinoshi, sassofonista; Richie Seivwright, trombonista; Yohan Kebede, tastierista; Tobi Adenaike, chitarrista; Ayo Salawu, batterista; Onome Ighamre Edgeworth, percussionista; Mutale Chashi, bassista

Tracklist:

1. Tojo

2. Blue Robe (pt. i)

3. Ewà Inu

4. Age Of Ascent

5. Dide O

6. Soul Searching

7. We Give Thanks

8. Those Good Times

9. Reprise

10. War Dance

11. Interlude

12. Home

13. Something’s Going On

14. Outro

15. Blue Robe (pt. ii)

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