Amon Amarth: recensione di The Great Heathen Army

Amon Amarth

The Great Heathen Army

Metal Blade Records

5 agosto 2022

genere: melodic death metal, viking metal

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Recensione a cura di Marco Calvarese

Signore e signori, sgombrate il campo dalla retorica, dalle nostalgie, dai pregiudizi, dalle categorie mentali a compartimenti stagni e dalle preferenze personali: il grande esercito pagano sta sbarcando sulla vostra isoletta e spazzerà via ogni confine di genere. Aspettatevi questo da The Great Heathen Army, dodicesima e ultima fatica in studio dei leggendari Amon Amarth.

Dimenticatevi gli esordi, dimenticate le brutali conquiste di Versus The World: io l’ho fatto, e se ci sono riuscito io, che con quell’album ho scoperto il genere e sono divenuto il primo fan di questi guerrieri emersi direttamente dal medioevo scandinavo, potete farcela pure voi. E se (parafrasando qualcuno più famoso di me) è vero che il growl più distorsione non fanno il death metal, agli Amon Amarth la cosa non sembra togliere il sonno.

Avete presenti i Bathory di Blood On Ice? Beh, a mio modesto parere The Great Heathen Army, mutatis mutandis, ha la medesima valenza e pari potenziale, soprattutto dal vivo (i vichinghi sbarcheranno a Milano insieme ai Machine Head, fra un paio di mesi).

A parte la voce di Hegg, l’accordatura bassa della ritmica e qualche sprazzo di tremolo riffing, fatico davvero a definirlo death metal: la transizione della band è completa, questo è un album epic, e ne porta orgogliosamente le stimmate armoniche e melodiche. Un lavoro discografico pienamente maturo, questo, laddove Berserker (la precedente uscita) mostrava un percorso ancora in via di definizione.

The Great Heathen Army, invece, ha l’organicità di un concept: caldo, coinvolgente, riff-based, moderno nella sua classicità e teatrale al punto giusto, dalla cover all’ultima nota, come può esserlo solo un personaggio come Johan Hegg, ormai pienamente consapevole dei propri mezzi e della fama acquisita.

L’album è breve e si compone di nove tracce per un totale di meno di tre quarti d’ora di musica, ma per qualità compositiva appare superiore agli episodi più recenti. Non temete, reca il marchio Amon Amarth a 360 gradi. Il sound non è stato snaturato dall’approdo melodico e rimane inconfondibile fin dalla opening track, Get In The Ring, che scuote anche le sequoie con un riff devastante, variamente elaborato nel corso del brano, e con cambi di tempo travolgenti, aprendo così la strada al thrash-death della title-track, ove i ritmi si abbassano e si esperisce la profondità del growl di Hegg, che ormai non ha più bisogno di prove.

Da qui in poi, a partire da Heidrun, ci si tuffa nel mare limpido della melodia, per riemergere con un basso che pare finito per sbaglio in mano a Steve Harris. Le intenzioni della band cominciano a manifestarsi nitidamente: Oden Owns You All é un altro pezzo groove-thrash à la Sepultura old style, ma in chiave scandinava e parecchio live-oriented. Find a Way Or Make One, singolo del disco, si fa apprezzare per l’innesto di un refrain epic-dark su strofa classic metal anni ’80 e per il suo dirompente potenziale live.

A questo punto, proprio quando gli album, come spesso capita, si perdono nei cosiddetti brani filler, i cinque vichinghi ci regalano il meglio di sé, definendo il perimetro del nuovo corso degli Amon Amarth. È con Dawn Of Norsemen che l’epicità tocca vette inaudite, mescolandosi col groove più trascinante: Hegg fraseggia con la chitarra e con un due/quarti dichiarato, esibendo una padronanza inusitata tanto sulle trame più melodiche, quanto sulle tonalità più oscure e baritonali dello scibile umano.

E se pensate che non si possa fare di meglio, ascoltate il seguito. Non credo si possa rimanere indifferenti di fronte a un brano come Saxons and Vikings: un riff granitico, sostenuto da un doppio pedale a mitraglia, che apre il campo di battaglia in cui si sfidano – fino all’ultima nota e senza esclusione di colpi – l’ascia tremolo e quella classica, il growl di Hegg e il clean dello special guest Biff Biford (seconda collaborazione, dopo quella ospitata su Thunderbolt dalla seminale band inglese), a simboleggiare lo scontro tra sassoni e vichinghi.

Probabilmente, in passato, gli Amon Amarth sono riusciti a conseguire uno standard di risultati più elevato, più dominante, ma cos’è l’arte se non il tocco del genio? Provare per credere. E se Skagul Rides With Me, pur iscrivendosi a sua volta e a tutto tondo nel filone epico, segna un ritorno al sound tradizionale della band, la closing track The Serpent’s Trail vi sorprenderà ancora, esibendosi in un riff di vago gusto symphonic-prog, mentre la voce narrante di Hegg va ad accompagnare l’epilogo della release.

Qualsiasi opera dovrebbe essere giudicata per quello che è e non per quello che vorremmo che fosse: The Great Heathen Army è un superbo esempio di album epic metal, contraddistinto da un’impronta death e da ampie venature melodiche, perché questa è la strada scelta dagli Amon Amarth. La si può approvare o meno, secondo i gusti e le pulsioni vintage o moderniste, ma l’esercito pagano ha sangue vichingo nelle vene e non scade mai di tono: cosa diavolo dovremmo chiedere di più dalla musica? Per quanto mi riguarda, consideratemi arruolato!

Tracklist:

1. Get In the Ring
2. The Great Heathen Army
3. Heidrun
4. Oden Owns You All
5. Find a Way or Make One
6. Dawn of Norsemen
7. Saxons and Vikings
8. Skagul Rides With Me
9. The Serpent’s Trail

Membri della band:

Johan Hegg | voce
Olavi Mikkonen | lead guitar
Ted Lundström | basso
Johan Söderberg | rhythm guitar
Jocke Wallgren | batteria

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