Orville Peck: recensione di Bronco

Orville Peck

Bronco

Columbia Records

8 aprile 2022

genere: country rock, alt-country, rockabilly

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Recensione a cura di Luca Fivizzani

A due anni di distanza dalla sua ultima fatica discografica, Show Pony, dopo un periodo di stasi (complice la depressione creata dalla pandemia che ha travolto il mondo intero) ed una raffica di cover e collaborazioni uscite finora, forse anche per colmare il vuoto di cui egli stesso ha parlato ultimamente, Orville Peck torna finalmente con un album nuovo di pacca intitolato Bronco, edito per Columbia Records e anticipato da ben quattro singoli, usciti con relativi videoclip.

Per Orville Peck si tratta della consacrazione come artista, già a suo tempo osannato – forse ingiustificatamente – solo per il suo coraggio: gay dichiarato e fautore di un approccio musicale basato tendenzialmente sull’impatto visivo, il cantautore sudafricano è stato in grado di riscattare un pregiudizio inutilmente fondato.

L’album – prodotto da Jay Joyce e composto da ben 15 tracce – ci regala la riprova della qualità musicale e compositiva di cui Orville Peck è capace, mostrando una sapiente produzione artistica e una scrittura estremamente matura, entrambe racchiuse all’interno di un prodotto di altissima qualità: dall’opener Daytona Sand, che ricorda il primo Bruce Springsteen, ad Outta Time, canzone che ci proietta direttamente sulle strade della California, con sound e testi in piena tradizione americana.

Ecco poi apparire echi dell’ultimo Elvis Presley e del più classico Roy Orbison, citati in maniera magistrale nell’accattivante singolo C’Mon Baby Cry. È poi il turno della splendida Kalahari Down, momento evocativo e pieno di enfasi che, grazie alla meravigliosa voce di Orville Peck, ci concede una vera e propria perla, esplorando abilità vocali finora tenute in secondo piano.

Hexie Mountains (probabilmente uno dei brani più riusciti della release) e Iris Rose avvicinano l’artista a un altro grande autore dell’alternative-country contemporaneo come Ryan Adams. Essenzialmente, la chiave positiva di questo secondo lavoro in studio sta nell’apertura musicale a cui si è esposto Orville Peck, come nell’uso del pianoforte in Let Me Drown. Tutti elementi inediti per Orville Peck, che vanno ad arricchire il suo universo espressivo.

Episodi quali Any Turn, City Of Gold e The Curse Of The Blackened Eye affondano a piene mani in un Chris Isaak d’annata, proprio a sottolineare come il bagaglio citazionistico di Orville Peck sia esattamente ferrato sul binario più consono alle sue competenze e attitudini. Il tutto senza scimmiottare nessuno, ma trovando comunque una cifra stilistica identificativa, dettata anche dalla sua inconfondibile voce.

Niente di nuovo, certo, ma non sempre l’originalità è sinonimo di qualità. Credo che di musicisti come Orville Peck ce ne sia sempre bisogno. Bronco è un album da ascoltare con l’estrema consapevolezza di avere a che fare con un compositore a tutto tondo, dal bagaglio culturale ben saldo nella tradizione, ma pronto a guardare all’attualità in maniera eccellente e costruttiva.

Tracklist:

1. Daytona Sand

2. The Curse Of The Blackened Eye

3. Outta Time

4. Lafayette

5. C’Mon Baby Cry

6. Iris Rose

7. Kalahari Down

8. Bronco

9. Trample Out The Days

10. Blush

11. Hexie Mountains

12. Let Me Drown

13. Any Turn

14. City Of Gold

15. All I Can Say

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