Overkill
Scorched
Nuclear Blast
14 aprile 2023
genere: thrash metal, heavy metal, power metal
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Recensione a cura di Marco Calvarese
Quando sai che gli Overkill stanno per pubblicare qualcosa di nuovo, tu lo acquisti a scatola chiusa. Per lo meno io faccio così da almeno 30 anni e difficilmente mi sono dovuto ricredere. Così è stato, ad esempio, per The Wings of War, quattro anni fa, con cui ho rifatto il pieno di quel vecchio, sano e sporco thrash metal. Senza tirare mai il fiato e senza farmi mancare contaminazioni e spunti di riflessione.
Lo stesso discorso riguarda anche Scorched, ventesimo LP di una carriera sontuosa, il primo dopo la pandemia. Stavolta, però, dopo aver scartato il CD dalla splendida cover verde malefico e infilato gli auricolari, più che essere percosso dalla violenza, sono stato colpito dalla sorpresa, fin quasi dalle prime note: dopo una lunga serie di lavori più o meno di alto livello ma sempre puramente thrash, qui c’è stata una netta deviazione verso altri lidi.
Niente di male, mi dico, dopo qualche attimo di disorientamento: pregiudizio e metal non possono coesistere nella stessa frase, figurarsi nella mia testa. A mia parziale discolpa, va detto che i singoli non mi avevano affatto preparato a questo: insieme alla title track, rappresentano i brani più “fedeli alla linea”, riff-based e di puro headbanging dell’intero repertorio, mentre, man mano che ci si addentra tra i solchi del disco, emerge una profonda nostalgia eighties che si sostanzia nei cori, nel riffing, nella produzione e che si sublima nelle profonde venature NWOBHM della prima e in quelle hard rock della seconda parte della track list. Sì, avete letto bene: provate a soffermarvi sulle scale usate negli assoli o sulla sessione ritmica, più che sulla distorsione delle chitarre, e non potrete che convenire.
Intendiamoci: gli storici thrasher del New Jersey non si sono imborghesiti, né hanno snaturato il caratteristico sound, ma lo hanno arricchito di influenze tanto nitide da insaporire e conferire un aroma del tutto inedito a Scorched, come quei profumi intensi e dolcissimi che aggrediscono le narici quando si entra nelle case di una volta, quelli che raggiungono direttamente i neuroni deputati alla memoria. La nostalgia dei tempi che furono, degli anni ruggenti in cui affondano le radici del genere, permea l’album nella sua interezza. Ciò conferisce all’album due caratteristiche: richiede più ascolti per essere capito appieno e gustato fino in fondo e (opinione mia da verificare sul campo) acquisisce una vocazione compiuta on stage, più che in studio.
I sovrani della scena East Coast scelgono di partire in quarta con Scorched, aprendo con un intrigante tapping, un riff semplice e immediato per poi sfumare in un assolo in cui la seconda chitarra sparisce lasciando la scena al basso. Going Home accentua il sapore retrò con un profondo sentore Judas Priest, chiudendo con un solo speed-power. Il singolo The Surgeon è un vero spaccaossa, dotato di un riff trascinante e di arrangiamenti vocali esaltanti e capaci di conferire un groove assurdo al brano: non risulterà il più bello esteticamente, ma, per un consumato thrasher come me, The Surgeon crea dipendenza, collocandosi tra gli irrinunciabili del 2023.
Da qui in poi, i ritmi si fanno meno frenetici, con Twist of The Wick che rimanda agli Accept e a melodie vintage, enfatizzate dagli effetti sonori con le campane a morto. Wicked Place (l’altro singolo che ha anticipato la pubblicazione del full length) è, a mio avviso, l’episodio più Overkill-style, atmosferico e geniale dell’opera, con l’immediato mid tempo e quel mood oscuro dato dalla melodia del refrain, chiuso poi dal suono crepuscolare di un violoncello.
L’ultra-maideniana (secondo me bellissima) Won’t Be Coming Back chiude alla grande la prima parte del disco, mentre Fever rappresenta uno spartiacque: l’arpeggio di basso (con Bobby che canta pulito) alternato con l’ingresso delle asce pesanti, si smorza poi in un thrash & roll screziato di blues, molto ritmato, che dà il La ad un second round dalle forti influenze rock. Harder They Fall, infatti, suona tanto come se i Motörhead si fossero dati al thrash anni ’80, mentre la struttura complessiva hard & heavy viene ulteriormente valorizzata nella tostissima Know Her Name, in cui il ruolo da protagonista assoluto di DD Verni giunge a piena maturazione.
Il riffing e l’accordatura delle chitarre non lasciano dubbi sulle scelte sonore della band, così come il frenetico, sincopato shake & roll della eccentrica closer Bag O’ Bones: come se, a fine spettacolo, i Guns ‘N’ Roses avessero imbracciato gli strumenti degli Overkill senza correggere le distorsioni. Non poteva esserci finale più appropriato per un album sorprendente e tanto più articolato del solito, ma entusiasmante, dotato di frame memorabili e senza mezza caduta di tono.
Chissà che gli Overkill non abbiano qui trovato la formula non dell’eterna giovinezza, ma dell’invecchiamento perfetto, strizzando l’occhio alle nostalgie dei loro coetanei, mentre cambiano pelle.
Tracklist:
01. Scorched
02. Goin’ Home
03. The Surgeon
04. Twist Of The Wick
05. Wicked Place
06. Won’t Be Coming Back
07. Fever
08. Harder They Fall
09. Know Her Name
10. Bag O’ Bones
Membri della band:
Bobby “Blitz” Ellsworth – voce
D.D. Verni – basso
Dave Linsk – chitarra solista
Derek Tailer – chitarra ritmica
Jason Bittner – batteria
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