Ozzy Osbourne: recensione di Bark At The Moon

Recensione a cura di Andrea Musumeci

15 novembre 1983. Ozzy Osbourne pubblica il suo terzo album solista, Bark At The Moon. Il terzo capitolo della sua rinascita artistica vede alla chitarra il talentuoso Jake E. Lee al posto del compianto Randy Rhoads, scomparso in quel tragico incidente aereo.

Ozzy Osbourne, in tutta la sua carriera da solista, non ha sbagliato un colpo, ha sempre azzeccato la scelta dei membri della sua band: un talent scout naturale che si è sempre circondato di musicisti con i cosiddetti attributi.

La copertina del disco raffigura Ozzy Osbourne in versione licantropo, o lupo mannaro, appoggiato al tronco di un albero, con le nuvole sopra che sembrano indicare proprio la luna.

In quegli anni, il tema dei lupi mannari era piuttosto ricorrente, soprattutto in campo cinematografico, come ad esempio: Un Lupo Mannaro Americano a Londra di John Landis, che vinse il premio Oscar proprio per il miglior trucco, Voglia di Vincere, quest’ultimo con un giovane Michael J. Fox, e addirittura una serie televisiva statunitense dal titolo Le Notti del Lupo.

I lupi mannari avevano un aspetto diverso da quello del lupo tradizionale: la loro struttura era simile a quella di un grosso uomo peloso, ma con la testa e il viso somiglianti ad un lupo o ad un orso.

Da quando il film L’Uomo Lupo di Lon Chaney Jr. stupì il pubblico nel lontano 1941, la figura mitologica del lupo mannaro entrò a far parte della cultura popolare americana. Prima dell’era moderna, nel medioevo, in Europa, i lupi mannari erano considerati reali: erano le streghe dell’Europa.

Il tema del lupo mannaro, così come in Bark At The Moon, titletrack e brano d’apertura del disco, non è altro che una metafora, e parla ovviamente della perdita della capacità di controllare il proprio comportamento, in cui prevale l’essenza animale dell’individuo.

Di conseguenza, tale argomentazione non poteva che essere accompagnata da un bel riff potente e spaventoso come quello di Jake E. Lee, che diede l’opportunità a Ozzy di vestirsi da mostro peloso.

Nel video di Bark At The Moon, Ozzy ingerisce una pozione magica, dopodiché lo vediamo trasformarsi in licantropo. Ovviamente, Ozzy licantropo ulula alla luna, poiché, secondo il folklore popolare, i licantropi erano esseri umani che tendevano a tramutarsi in lupi mannari proprio nelle notti di luna piena. Anche quello della della luna fu un fattore tematico altrettanto ricorrente in quegli anni: oltre al pezzo di Osbourne, come dimenticare la hit di successo degli Echo and the Bunnymen, The Killing Moon del 1984.

In Bark At The Moon troviamo uno dei pezzi lenti e più emozionanti della carriera di Ozzy: So Tired. Una specie di versione anni ’80 di Changes dei Black Sabbath, che ricorda un po’ lo stile di Paul McCartney. So Tired parla semplicemente della fine di un amore. Stavolta Ozzy subisce una doppia sconfitta: perde la donna che ama e la capacità di chiudere la storia con dignità. Chissà se poi quella donna ha mai rimpianto la decisione presa, però quello che sappiamo è che Ozzy era troppo stanco per combattere, per cercare di convincerla a non andarsene. Lei gli ha spezzato il cuore e non c’era più niente che lui potesse fare.

Non immedesimatevi mai nelle parole del testo di So Tired, potreste deprimervi troppo a causa del testo struggente e a dir poco triste, con un significato completamente in antitesi con il concetto di potenza che il genere heavy metal intendeva esprimere durante il decennio degli Ottanta. Ma a Ozzy, tutto questo, non interessava. Ozzy ci appare, invece, impotente, rassegnato ed autolesionista, come vedremo anche in sèguito nelle pubblicazioni future.

Tornando al disco Bark At The Moon, nella traccia You’re No Different To Me, Ozzy soffre ancora il suo passato che lo perseguita. Un altro pezzo importante e sottovalutato di questa release è senz’altro Centre of Eternity; traccia in cui Ozzy analizza l’inevitabile viaggio nel tempo da parte di un essere umano sempre più convinto di sapere tutto, ma che poi finisce per perdersi inevitabilmente nel sentiero infinito del tempo e nell’imprevedibilità del destino.

Centre of Eternity si apre con una specie di canto gregoriano, seguìto da un’imponente suono d’organo che sembra presagire l’inizio della santa messa di Papa Osbourne. Il disco si chiude con la canzone Waiting For Darkness: un ritorno all’oscurità, con toni cupi e melodici.

Bark At The Moon è, dunque, il tassello che va a completare la prima trilogia discografica dell’araba fenice di Birmingham; un’opera che, passando attraverso un turbolento e doloroso percorso introspettivo, definirà la maturazione artistica di Ozzy Osbourne e la consacrazione della sua visione dell’heavy metal. Grandissimo disco, inseparabile dai primi due.

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