Pearl Jam: Ten

27 Agosto 1991.
Esce Ten, album d’esordio dei Pearl Jam pubblicato negli Stati Uniti dalla Epic Records: una commistione di sonorità anni ’70, blues psichedelico e rock radiofonico.

“Un genere di rock che piaceva a tutti”, come lo definì all’epoca Kurt Cobain.

Il nome dell’album fu ispirato dal numero di maglia del giocatore di basket Mookie Blaylock e le canzoni cavalcavano il mood di quel periodo storico contraddistinto da tematiche oscure come la depressione, il suicidio, drammi familiari e la solitudine.

La rivista Rolling Stone ha inserito Ten al 209º posto della sua lista dei 500 migliori album.

Ten arrivò in Italia solamente nel febbraio dell’anno successivo.

C’è qualcosa di nuovo nell’aria…

Forse qualcuno usò pressappoco questa espressione all’inizio dei ’90. Probabilmente quelli che hanno vissuto in prima persona, o di riflesso, l’avvento di quella nuova moda e di quell’attitudine post-punk-garage provenienti da Seattle.

Nirvana, Mudhoney, Melvins, Pixies, Screeming Trees, sono stati tra i maggiori esponenti di quel contesto geografico e discografico, così come Pearl Jam, Alice in Chains, Soundgarden e Stone Temple Pilots.

Mi ricordo benissimo quel periodo: ero quasi maggiorenne quando vidi per la prima volta lo stravagante cappello di Gossard e le arrampicate sulle impalcature dei palchi di Eddie Vedder.

Per molti, Ten era un assemblaggio di pezzi scritti dai vari membri dei Pearl Jam quando suonavano in altre band della scena underground di Seattle.

Ten è un disco di personalità, rabbioso, incazzato, dal sound immediato, che trovava radici nel rock classico di fine anni ’60 ed inizio anni ’70, quello che fu di mostri sacri come Jimi Hendrix, The Who, Neil Young, Led Zeppelin e Pink Floyd.

Era il 1990, Stone Gossard scrisse il brano Dollar Short per i Mother Love Bone, ma, come tutti sanno, il frontman Andrew Wood morì per overdose di eroina.

E fu così che Gossard volle formare una nuova band con gli amici McCready e Ament, però mancava il cantante, il frontman, e soprattutto mancava il testo giusto.

Così il demo di Dollar Short iniziò a circolare fino ad arrivare fra le mani di un benzinaio di San Diego, in California, che nulla aveva a che fare con la scena di Seattle di quel periodo, tale Eddie Vedder.

Successivamente, Vedder diventa, a tutti gli effetti, il leader dei nuovi Pearl Jam e la canzone cambierà il titolo in Alive.

Alive è, ancora oggi, un vero e proprio inno da stadio: trasmette al pubblico un messaggio positivo, un vero e proprio cavallo di battaglia dei Pearl Jam.

“I’m still alive”: un ritornello quasi profetico se pensiamo al triste epilogo dei vari Andy Wood, Kurt Cobain, Chris Cornell, Layne Staley e Scott Weiland.

Come diceva Christopher Lambert nel film Highlander: “Ne rimarrà soltanto uno!”.

I Pearl Jam contribuirono in prima linea al successo del grunge, ma pian piano si staccheranno da quel cordone ombelicale per seguire una strada propria, nonostante le influenze musicali del passato che ne hanno caratterizzato il sound di base.

Once, ‘Even Flow, Why Go, Release, Garden, Porch, Ocean e la suggestiva ballad Black sono solamente alcune delle tracce indelebili presenti tra i solchi di questo disco.

La capacità vocale di Eddie Vedder era in grado, grazie alla sua timbrica particolarmente profonda, di suscitare emozioni uniche nell’ascoltatore, il quale rimaneva rapito da quel saper modulare e trasmettere il proprio vissuto sociale.

Ten è una pietra miliare del rock anni ’90, un album imprescindibile, che segnerà in maniera significativa il percorso della musica di quel meraviglioso e tormentato decennio.

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