Red Hot Chili Peppers: recensione di Stadium Arcadium

Recensione a cura di Chiara Profili

5 Maggio 2006. Esce Stadium Arcadium, nono album in studio dei Red Hot Chili Peppers, l’ultimo, purtroppo, con John Frusciante alla chitarra, che lascerà nuovamente la band al termine del tour mondiale, per poi farvi ritorno sul finire del 2019.

Nel 1999, John Frusciante era rientrato nei Red Hot Chili Peppers al posto di Dave Navarro e aveva inciso con Anthony Kiedis, Flea e Chad Smith due fra gli album di maggior successo della band: Californication e By The Way.

Nonostante con questi due dischi il gruppo avesse intrapreso una direzione meno funky e, se proprio vogliamo dirlo, più commerciale rispetto a quelle che erano state le sonorità dei primi lavori, fino a Blood Sugar Sex Magik, l’alchimia tra i quattro Peppers più amati sembrava essere finalmente tornata. Nel 2006 viene dato alle stampe Stadium Arcadium.

Stadium Arcadium è suddiviso in due dischi: Jupiter e Mars. Spesso, quando una band sforna un album doppio, viene da chiedersi se non sarebbe stato meglio condensare i brani migliori in un unico CD, escludendo quelli più deboli, al fine di ottenere un disco di sole hit.

Per Stadium Arcadium è impossibile fare questo tipo di ragionamento, in quanto nel primo disco, Jupiter, sono presenti forse solo un paio di pezzi trascurabili, mentre i restanti sono dei veri classici della band californiana, con sonorità alternative rock, ma anche con un ritorno al funky, che tanto aveva caratterizzato i Peppers agli inizi della loro carriera.

La title track, Snow, Hump de Bump e il successo radiofonico Dani California, sono solo alcuni dei brani che mi colpirono sin dal primo ascolto, quando acquistai l’album a pochi mesi dalla sua uscita, mentre mi trovavo proprio in California. Riascoltando il disco più volte, ho apprezzato sempre di più la ballad Wet Sand, che contiene, a parer mio, uno dei più begli assoli di chitarra scaturiti dal genio di Frusciante.

Il secondo CD, Mars, è forse meno ricco del primo, ma parte subito bene con la bellissima doppietta Desacration Smile, Tell Me Baby. Tenendo presente che chiedere ad una band di rimanere sempre uguale a se stessa è come chiedere a noi stessi di non cambiare mai idea e opinione su nulla nel corso della vita, è chiaro che questo album non potrà certo essere considerato, dagli estimatori dei Red Hot della prima ora, uno dei migliori.

Tuttavia, ritengo che sia davvero un ottimo disco, che va ascoltato senza fare paragoni, ma semplicemente godendo delle melodie e delle ritmiche che solo i Red Hot Chili Peppers sanno creare, in quel loro stile così unico. Come disse Flea: “Se non ti piace questo disco, non ti piacciono i Red Hot Chili Peppers. Punto”.

© 2019 – 2022, Fotografie ROCK. All rights reserved.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.