Rolling Stones: recensione di Hackney Diamonds

Rolling Stones

Hackney Diamonds

Polydor Records

20 ottobre 2023

genere: rock ‘n’ roll, blues, country blues, rock & blues, disco rock, R&B, gospel, soul ballad, slide guitar

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

“Se non conosci il blues, non hai nessun motivo per prendere in mano una chitarra e metterti a suonare rock and roll, o qualsiasi altra forma di musica popolare”. (Keith Richards)

A distanza di sette anni dall’album di cover Blue & Lonesome e a diciassette dall’ultimo di inediti A Bigger Bang, le leggende viventi Rolling Stones tornano con un nuovo disco intitolato Hackney Diamonds (ventiquattresimo in studio, il primo dopo la scomparsa del batterista Charlie Watts nel 2021), edito per Polydor Records e prodotto da Andrew Watt, noto per aver diretto pop-star come Justin Bieber, Post Malone, Miley Cyrus, e di recente anche mostri sacri quali Elton John, Iggy Pop e Ozzy Osbourne.

Oltre a Andrew Watt – considerato da alcuni l’erede naturale di Rick Rubin – e al nuovo batterista Steve Jordan, Hackney Diamonds vanta una serie di ospiti illustri, tra cui Elton John al pianoforte in Get Close, Stevie Wonder al Fender Rhodes in Sweets Sound Of Heaven (brano che ricorda I’ve Got Dreams To Remember di Otis Redding), Lady Gaga relegata al ruolo di corista gospel in Sweets Sound Of Heaven, Bill Wyman al basso in Live By The Sword e Sir Paul McCartney al basso elettrico in Bite My Head Off.

Anticipato dall’uscita del videoclip del singolo Angry (in cui immagini iconiche della band compaiono sulle grandi insegne dei palazzi del Sunset Strip di Los Angeles, mentre l’attrice Sidney Sweeney sfreccia su una Mercedes cabrio), Hackney Diamonds è senz’altro un disco dal sound vintage – come poteva essere altrimenti – ma che, al di là dell’effetto analgesico del fattore nostalgia, sprigiona un groove fresco, frizzante, ritmico, verrebbe da dire quasi contemporaneo.

Se il significato della scatola a forma di cuore dei Nirvana è, ancora oggi, aperto a diverse interpretazioni simboliche, dalle più plausibili a quelle più strampalate, il diamante a forma di cuore raffigurato nell’artwork di Hackney Diamonds non lascia spazio alla fantasia delle supposizioni. Da un lato l’anima fin troppo fragile di alcuni dei massimi esponenti del cosiddetto genere grunge, della cosiddetta generazione X, dall’altro, invece, la scorza tenace e indistruttibile di una delle espressioni più iconiche della musica rock.

Così, in equilibrio tra immagine e sostanza, Mick Jagger, Keith Richards e Ronnie Wood – superstiti della line-up originale – hanno continuato ad alimentare un mito senza tempo a suon di rock and blues, trasgressione, desiderio di libertà e brillanti strategie di marketing, una su tutte la famosa bocca con linguaccia (“hot lips”) disegnata da John Pasche, divenuta logo distintivo dei Rolling Stones e, contestualmente, fonte remunerativa per il merchandising.

È incredibile come la blues band più famosa di sempre sia composta da elementi bianchi, e oltretutto inglesi. Eppure, i Rolling Stones hanno fondato la loro fortuna e il loro stile sulle radici spirituali e le acque fangose del delta blues afroamericano. Dagli anni 60 in poi hanno vissuto tutti i cambiamenti generazionali, sono passati attraverso la fine del sogno hippie per andare alla ricerca della loro strada, cristallizzando il loro brand – sonoro ed estetico – nell’immaginario collettivo, fino a guadagnarsi un posto d’onore nella storia del rock solamente per il fatto che la loro musica si è focalizzata sul filone blues dei vari Bill Haley, Howlin’ Wolf, BB King e Muddy Waters.

In altre parole, se gli Stones sono riusciti a mescolare con successo blues e rock’n’roll, facendo proselitismo in qualsiasi angolo del pianeta, e se oggi sono ancora “on the road” e anche in grande spolvero, è grazie al fatto che la loro musica è blues, e quindi possono concedersi il lusso di invecchiare ed essere ancora importanti. I Rolling Stones hanno preso il blues, l’hanno interiorizzato e sono riusciti a proiettarlo nel futuro. In un futuro che è diventato il nostro presente.

Il titolo della release trae ispirazione da un’espressione slang della zona di Hackney – sobborgo di Londra con reputazione a metà tra il malfamato e il trendy – facendo riferimento ai vetri rotti di un negozio durante una rapina, mentre il focus narrativo racconta le difficoltà di crescere tra le insidiose strade di Londra, in quei quartieri senza futuro – come nell’episodio di Whole Wide World – e ruota attorno a una retrospettiva autobiografica che, con leggerezza, malinconia, riflessioni e inguaribile entusiasmo, rievoca quelle che sono le origini dei Rolling Stones.

Per alcuni, seguendo un’interpretazione piuttosto idealista, la longevità di una band non dipende necessariamente da ciò che produce, ma da quello di cui parla nelle canzoni. I Rolling Stones sono degli ottantenni che continuano a ripetere i loro vecchi giochini da rockstar, se ne fregano delle mode discografiche (a parte qualche infiltrazione qua e là di modernismo ialuronico) e si dimenano ancora sul palco davanti a una folla di nostalgici boomer, e verosimilmente sono tra i pochi a possedere quel carisma che gli permette di farlo senza risultare patetici.

È altrettanto vero che i Rolling Stones non rappresentano più, in modo specifico, i loro coetanei: col tempo, hanno abbracciato diverse generazioni, sono diventati ambasciatori del rock della nostalgia, e ogni rockettaro che si rispetti non può non amare il timbro sciamanico e tutt’oggi seducente di Mick Jagger e l’inconfondibile strumming di Keith “the human riff” Richards. Senza contare, poi, i cosiddetti fan occasionali, ovvero chi non ha mai seguito assiduamente gli Stones ma è disposto a sborsare cifre assurde per un loro concerto pur di condividere sui social network fotografie con l’hashtag “io c’ero”.

Pertanto, al netto di qualsiasi considerazione personale, cosa dobbiamo aspettarci dai Rolling Stones e da questo comeback discografico? Hackney Diamonds è un disco per viaggiare in spensieratezza, ma con una moderata dose di malinconia: tredici brani distribuiti in poco meno di cinquanta minuti di musica, deputati a rivisitare le cifre stilistiche che, in quest’ultimi sessant’anni, hanno contraddistinto il loro magico trademark sonoro ed emozionale: dal dance-rock in assonanza con riff anni 80 (Mess It Up) all’intensità agrodolce di ballad acustiche (Depending On You), dal garage rock di Bite My Head Off al pathos crescente e coinvolgente del soul R&B di Sweet Sound Of Heaven, dal rock & blues sfrenato di Live By The Sword ai mid-tempo catchy di Angry e Driving Me Too Hard, passando per il funk & roll di Get Close e il country-slide di Dreamy Skies.

Hackney Diamonds si conclude con la versione scarna e sacrale di Rolling Stone Blues (eseguita per la prima volta in assoluto dal duo Jagger-Richards), la canzone di Muddy Waters da cui i Rolling Stones presero il nome circa 60 anni fa. Là dove tutto è cominciato. Ecco la romantica e inevitabile chiusura di un cerchio.

Ora, è ovvio che i Rolling Stones non potranno ridarci indietro gli anni in cui ci illudevamo che la musica rock fosse la soluzione, seppur parziale, a tutti i nostri problemi, ma possono regalarci ancora l’illusione di una semplice evasione, allentando certi nodi stretti della quotidianità. E allora perché non sfrenare la gambetta come ai vecchi tempi? Perché non lasciarsi andare a un po’ di locura, di cerveza? E che importa se la verve non è più quella d’una volta, se l’ultima lastra del crociato è identica a quella di Giuseppe Rossi e se ormai per sballarci ricorriamo a cocktail di ketoprofene e paracetamolo. La festa non è ancora finita: “now I’m too young for die and too old to lose”.

Tracklist:

1. Angry 2. Get Close (feat. Elton John) 3. Depending On You 4. Bite My Head Off (feat. Paul McCartney) 5. Whole Wide World 6. Dreamy Skies 7. Mess It Up 8. Live By The Sword (feat. Bill Wyman) 9. Driving Me Too Hard 10. Tell Me Straight 11. Sweet Sounds of Heaven (feat. Lady Gaga e Stevie Wonder) 12. Rolling Stone Blues (di Muddy Waters)

Membri della band:

Mick Jagger – voce, chitarra, armonica, percussioni, Keith Richards – chitarre, voce solista in Tell Me Straight, Ronnie Wood – chitarre, chitarra acustica, Steve Jordan – batteria
* Charlie Watts – batteria in Mess It Up, Live By The Sword

Credits:

Bill Wyman – basso elettrico in Live By The Sword, Paul McCartney – basso elettrico in Bite My Head Off, Elton John – pianoforte in Get Close, Live By The Sword, Stevie Wonder – pianoforte e Fender Rhodes in Sweet Sounds of Heaven, Lady Gaga – voce in Sweet Sounds Of Heaven, Darryl Jones – basso elettrico, Steve Jordan – batteria, Matt Clifford – tastiere

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