Capitano Merletti: recensione di Medusa

Capitano Merletti

Medusa

Pipapop Records, Beautiful Losers

24 novembre 2023

genere: folk acustico, neo-folk, beat 60s, elettronica vintage, psych folk brit, alt-rock americano, soft disco-soul, jingle-jangle, sonorizzazioni cinematiche

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

A distanza di cinque anni dal precedente Shortwaves From The U.F.O. Channel, e con alle spalle un’intensa attività live che lo ha visto aprire, fra gli altri, per Fatboy Slim, Marta Sui Tubi, Marlene Kuntz, Brunori Sas, Levante e Tre Allegri Ragazzi Morti, il polistrumentista, produttore e cantautore veneto Alessandro Antonel, in arte Capitano Merletti (ex Chinasky e Maya Galattici), torna sulle scene della discografia indipendente con un nuovo doppio album intitolato Medusa, edito per Pipapop Records e Beautiful Losers e anticipato dall’uscita dei singoli You, My Home e Always Needed Something.

Son serviti tre anni di gestazione per la realizzazione di un’opera cantautorale così impegnativa, sia per la sua durata (ben ventuno canzoni, cantate in inglese), inconsueta per l’immaginario contemporaneo, sia per la scelta coraggiosa di non voler sacrificare qualità e autenticità a favore di quella convenienza che va a braccetto con le facili scorciatoie della discografia moderna: “Questo per me è l’album della vita”, spiega lo stesso autore, “Ci sono dentro tutte le canzoni che hanno fotografato i momenti più importanti della mia esistenza, quelle che durano negli anni”.

Così, il one-man band Capitano Merletti, avvalendosi dei fidati compagni di etichetta Dnezzar, Emma Grace e Rosita Kèss, e attingendo tanto da quella genetica folk di radice anglofona quanto dall’eclettismo di certo cantautorato italiano (Syd Barrett, Neil Young, Nick Drake, George Harrison, America, Simon & Garfunkel, Cat Stevens, Damon Albarn, Lucio Battisti, Enzo Carella), è riuscito a selezionare e coniugare psichedelia filo-pinkfloydiana (Looking Up At The Tall Mystery Of The Trees, The Magician Cat), atmosfere dall’estetica vintage anni 60 e 70, linee soft disco-soul (Telephone), sonorizzazioni cinematiche retrò, tessuti armonici dal mood agreste, alt-rock statunitense dei 90s (Autumn’s Time, Evil Girl) e melanconia lagunare, filtrando ogni elemento calligrafico grazie a balsamiche armonie vocali e all’utilizzo di un registro intimo, sofisticato e umbratile.

A Red Idea, Matt Mūn, About Blank, Are You Real?, Andrea Liuzza, Alice Di Lauro, Leptons, Onceweresixty, Capitano Merletti e Daniele Santagiuliana sono solo alcuni dei nomi che, da qualche anno, stanno riscrivendo suoni e attitudine di un preciso contesto territoriale, di una scena fervida come quella che si sta delineando sull’asse Venezia-Vicenza, adeguata a fornire e sviluppare progetti alternativi e stimolanti.

L’intento è quello di approcciarsi a una controcultura che provi ad opporsi alle derive dialettiche di una comunicazione di massa divenuta sempre più tentacolare, alienante e urticante. Concetto traslato nell’artwork di copertina di Medusa, con l’immagine di un Gonionemus Murbachii del mare di Norvegia (foto subacquea scattata da Fabio Iardino): “A me sembra un alieno”, spiega Alessandro Antonel, “Lui nuota e respira dentro a un liquido, noi ci muoviamo e respiriamo dentro a un gas. Chi è, in fin dei conti, l’alieno su questo pianeta?”.

Se da un lato siamo arrivati a guardare l’attualità con distacco, senza empatia, dietro lo scudo superficiale della leggerezza, come se le emozioni si fossero pietrificate di fronte ai cristalli liquidi di uno schermo digitale, dall’altro non siamo riusciti a liberarci dai nodi stretti delle convenzioni, delle radicalizzazioni analogiche, e dalle traiettorie imprevedibili di un mondo sempre più simile a una lavatrice emotiva (“just because the world is turning around, and sometimes it’s an emotional washing machine”).

Mentre ricordi e passioni si arrampicano come foglie di edera ai rami testardi della nostalgia, Capitano Merletti, che già nel volto comunica un non so che di autunnale, si incammina attraverso i suggestivi sentieri boschivi del vicentino – della sua terra – proiettandosi oltreoceano, verso quelli che in epoche remote erano i sognanti lidi californiani, passando per le brumose brughiere inglesi e poi tornare nuovamente a casa, in quell’eremo di campagna lontano dalle frenesie metropolitane, a contemplare la ciclicità del tempo e gli effetti dei cambiamenti da una prospettiva defilata, che si traduce in riflessioni notturne e visioni oniriche.

Con sincerità autobiografica e partendo da una poetica intimista, visionaria e a tratti ermetica – composta della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni – Capitano Merletti riesce a dosare aromi estivi e intervalli chiaroscurali, freschezza esecutiva e naturalezza acustica, attraverso le colorazioni dominanti di un folk che si tinge di luccicanti e rilassanti intarsi jangly, quando con arpeggi ammalianti dalle frequenze morbide e lisergiche (Oh My Lord, My Love), quando mescolando guizzi elettrici alla Neil Young (Every Time I Turn Around You) a distorsioni low-profile di quel neofolk più contemporaneo (Sparklehorse, Beck, Kevin Morby, Motorpsycho di Yay!), oppure alternando malinconie west-coastiane a stralunate ballate dagli echi barrettiani e a un disincanto agrodolce dai riflessi nickdrakeiani.

Per quanto riguarda il versante tematico, si va dagli inafferrabili e misteriosi significati che attengono alla temporaneità delle emozioni (“all these days, we lose in many ways, time of yesterday, floating stars”) a fantasie narrative su gatti magici, dal ricordo sfocato di quei giorni solari che con il tempo ha convertito in romantica decadenza autunnale (“sunny days you’re all forgotten, a better way to hide our tears and fears, inside our rooms, and the neons of the night, autumn’s time”) alla tristezza di certe azioni umane di un passato mai abbastanza remoto (“a bright new morning there awash my eyes, a new sun was in the sky, could we change our mortal madness into a space grandness?”).

Riscaldare i sensi e meditare sullo scorrere del tempo, sulle fragilità individuali, sull’amore che permea la vita, con la sua bellezza e le sue incertezze, sulla necessità di trovare il proprio posto nel mondo, per quanto piccolo possa sembrare, e magari sentirci un po’ meno stranieri (“I’m like a stranger’s face, ‘cause I can’t find my place, my little space in this world”).

È dunque questo il canovaccio evocativo e confidenziale di Medusa, come fosse la valigia di un grande viaggio che Capitano Merletti, andando alla ricerca di una quiete non solo interiore ma che coinvolga anche corrispondenze affettive, prova a riversare nei ventuno racconti di questa doppia release; così da ricavarne un vero e proprio pop d’autore, inteso quale raccoglitore e valorizzatore di cifre stilistiche, sfumature cromatiche e stati d’animo.

facebook/Capitano Merletti

Scritto e prodotto da Capitano Merletti

Capitano Merletti: voce, chitarre acustiche, chitarra elettrica, bouzouki, basso, batteria, percussioni, pianoforte, synth

Emma Grace, Rosita Kèss: cori. Dnezzar: violino, synth, pianoforte

Tracklist:

1. The Summer Is Always New 2. Always Needed Something 3. You, My Home 4. Plastic Man 5. Earth Eyes 6. Little Sun (Me & The Alien) 7. The Bird’s Song 8. Ghost Wind 9. The Girl With The Sun In Her Eyes 10. Looking Up At The Tall Mystery Of The Trees 11. Autumn’s Time 12. Kissing With No Shame The Golden Pain 13. Evil Girl 14. Telephone 15. Sandy Hair In The Summer Rain 16. Daybreak 17. The Magician Cat 18. Oh My Lord, My Love 19. Every Time I Turn Around You 20. Mother Nature 21. Sunday

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