18 ottobre 1985.
I The Cult pubblicano il loro secondo album intitolato Love.
Siamo a metà degli anni ’80, il periodo d’oro di Madonna e del suo Virgin Tour, di Tina Turner e della mega hit What’s Love Got to Do With It, dei Simple Minds e di Whitney Houston, mentre i The Cult di Astbury e Duffy facevano un passo indietro, buttandosi nelle atmosfere rock psichedeliche degli anni ’60, mescolate ai suoni new wave, così da creare un album di grande personalità.
Nel 1985 in Inghilterra c’erano gli Eurythmics, gli Human League e i Duran Duran che andavano per la maggiore, ma uno dei dischi che riscosse maggior successo fu proprio Love dei The Cult.
Due milioni e mezzo di copie vendute, numero 4 in classifica in Inghilterra ed ovviamente un posto d’onore nella storia del rock anni ’80.
Love è il più grande successo dei The Cult (insieme al disco successivo Electric del 1987), che fino a pochi anni prima erano una band completamente diversa che suonava musica gotica nei paesi del Nord Europa.
Ian Astbury voleva essere il Jim Morrison del suo decennio e si dice che fosse stato scelto da Oliver Stone per la parte di Jim nel leggendario film The Doors, ma alla fine rifiutò, lasciando così la parte a Val Kilmer.
L’Italia ha scoperto i The Cult grazie ad un film dell’orrore diretto dal regista preferito di Quentin Tarantino, Lamberto Bava, e scritto da Dario Argento: il film era Demoni 2.
Nella colonna sonora c’è tanta new wave: ci sono gli Smiths, ma ci sono anche i The Cult con il brano The Rain.
Dunque, i The Cult sono stati capaci di unire sotto la stessa bandiera i darkettoni reduci dalla fine del punk di fine anni ’70 e i rockettari da strada di metà anni ’80.
Ho letto diverse critiche nei loro confronti; secondo alcuni detrattori, non erano originali, ma soltanto cavalcatori di mode.
Dopo l’inaspettato successo dell’album Love, che è stato il disco gothic rock più venduto di tutti i tempi (più dei Cure della trilogia, dei Sisters of Mercy, dei Joy Division e dei Bauhaus), Ian e Billy si tolsero definitivamente vestiti e pose gotiche per indossare i panni dei rockers (grazie anche alla produzione di Rick Rubin) con Electric del 1987, disco pieno di riferimenti rock blues anni ’70, vedi Led Zeppelin, AC/DC, Rolling Stones e Cream, fonte di ispirazione per Astbury e Duffy.
Con questo cambio di pelle, Ian Astbury liberò, finalmente, quella carica animalesca da palco che possedeva e che riuscì ad estendere al meglio, così come il suo timbro di voce e i suoi atteggiamenti, fin troppo debitori nei confronti del Re Lucertola, suo idolo giovanile.
Impossibile non amare Love.
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