Zagara: recensione di Duat

Zagara

Duat

Overdub Recordings

25 novembre 2022

genere: psych, noise, cantautorato italiano, grunge, funk R&B, prog-rock, alt-rock, elettronica

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

A distanza di tre anni dall’EP d’esordio Trovandoci La Mente, la band psych rock torinese Zagara manda alle stampe il suo primo full-lenght intitolato Duat, edito per Overdub Recordings e anticipato dall’uscita dei singoli Se Ha Fame e Maat.

Gli antichi egizi utilizzavano il termine Duat per descrivere il momento del trapasso dalla vita alla morte, che prevedeva, quale ultima prova, attraverso il giudizio della piuma di Maat (dea della giustizia), la pesatura del cuore, dell’anima, dell’ossatura morale del defunto prima di andare nell’aldilà. Una sorta di bilancia etica di concetti astratti come verità e sentimenti, che avrebbe dispensato, in un caso, l’immortalità, e nell’altro la dannazione eterna.

Radunando sotto lo stesso tetto la teoria del peso dell’anima e un mosaico di influenze stilistiche dalle forme caleidoscopiche, Daniele Cimino (voce, chitarre, tastiere) Federico Mao (basso, moog, chitarra acustica) e Federico Bevacqua (batteria e drum samples), grazie anche alla collaborazione di Riccardo Salvini ai cori e Dano Battocchio all’ebow, convogliano anima elettronica e anima rock all’interno della costruzione narrativa e simbolica di Duat, dosando equamente la bussola morale tra tensione e quiete, dilatando i confini tra mondo visibile e invisibile, e cercando di bilanciare forze uguali e contrarie: da un lato l’ossessione per la simmetria e la repressione del nostro io animalesco per mano dell’ordine apollineo della ragione, dall’altro il fascino segreto di perdere il controllo a causa del caos dionisiaco delle pulsioni emotive, nella seduzione delle passioni distruttrici.

Un’esperienza pseudo-ulissiana mirabolante, allucinata e drammatica, che rievoca un immaginario antico e magico in cui contaminazioni eterogenee si fondono come riflessi di specchi, alternandosi tra sonorità quiet & loud di estrazione retrò: si passa in mezzo a dilatazioni atmosferiche imbevute di elettronica a un wall of sound distorsivo e abrasivo di chitarre, dagli echi di psichedelia pinkfloydiana alle vitree escoriazioni del post-grunge, dal contorsionismo schizoide del prog-rock settantiano a una malinconia lisergica di matrice blues, fino ad accarezzare certo funk R&B che rimanda ai Ritmo Tribale di Bahamas.

Duat si articola, dunque, in qualità di riflessione metaforica, esoterica e bipolare su quell’ambiguità sospesa tra sogno e realtà, tra torto e ragione, che nel suo nucleo essenziale, al netto dei suoi molteplici significati, ruota intorno al tema dell’amore e all’opportunità di imparare a osservare le cose con occhi nuovi, da un’altra prospettiva, facendoci riflettere sul valore di ciò che facciamo e su quanto conti la nostra esistenza.

Così – bramando la spensieratezza dei luoghi e la libertà di percorrerli – gli Zagara si tuffano nelle amnesie emotive della società contemporanea, per svelare la propria intimità e condividere le proprie imperfezioni con afflato sacrificale, nel tentativo di fuggire dal peso di quelle convenzioni che schiacciano l’anima, da una finestra che affaccia sullo stesso misero cielo, dalle schiavitù mentali che ci tengono incollati a un terreno sempre più instabile e dal fondo limaccioso. Altrimenti è meglio che quella bestia famelica ci consumi, ci sbrani e poi ci rigurgiti, una volta per tutte.

facebook/zagaraband

Membri della band:

Daniele Cimino: voce, chitarre, tastiere

Federico Mao: basso, moog, chitarra acustica

Federico Bevacqua: batteria, drum, samples

Tracklist:

1. Maat

2. Quello Che Ha Un Peso

3. Se Ha Fame

4. Apophis

5. Pezzi di Ossa

6. Illuminami

7. Il Giardino Dei Tarocchi

8. Amnesia

9. Sole e Limo

10. Lago

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