Fru Fru – Intervista ad Edda

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Un paio di mesi fa avevamo parlato con Edda, all’anagrafe Stefano Rampoldi, e ci aveva raccontato che di lì a poco sarebbe uscito il suo ultimo album solista. Il 22 Febbraio ha infatti visto la luce ‘Fru Fru’, un disco fresco e decisamente distante nelle sonorità dall’Edda dei Ritmo Tribale, o dall’Edda dei primi lavori solisti. 

Ne abbiamo parlato con lui.

FOTOGRAFIE ROCK: Ciao Stefano, ben ritrovato. Come stai? Ti stai preparando per il tour imminente?

EDDA: Sto bene, sì, sto cercando di imparare a suonare i pezzi del nuovo album. Me li hanno fatti difficili… una tragedia.

FR: Stai cercando di imparare i testi? Noi li sappiamo già a memoria.

E: Ma voi avete un cervello che funziona…

FR: Come ti stai preparando? Ti alleni?

E: A parte che sono grasso da far schifo… oltre a quello, sto in casa tutto il giorno a provare e cerco d’imparare questi brani che ormai suono da un anno, ma che sul disco sono stati arrangiati in maniera diversa, quindi è un casino. Basterebbe avere uno di quegli schermi con le parole…

FR: Il gobbo!

E: Eh, sì, sarebbe perfetto. Comunque in qualche modo farò. 

FR: Quando parte il tour?

E: La prima data è il 9 Marzo a Ravenna.

FR: Parliamo allora di questo disco. C’è voluto, quindi, un anno per la realizzazione?

E: All’incirca, sì. Mandavo le canzoni a Luca Bossi tramite ‘GarageBand’, solo voce e chitarra, lui estrapolava la voce e ci costruiva intorno gli arrangiamenti. Praticamente ha fatto tutto lui… suona ogni strumento. Nel disco, però, i brani sono stati incisi da diversi musicisti. Ma Luca è davvero bravo.

FR: Collabora con te già da parecchio, vero?

E: Sì, già da ‘Stavolta Come Mi Ammazzerai?’. L’abbiamo comprato dalla Juventus perché aveva un problema di tendinite e invece di abbatterlo gli abbiamo dato una chance. [ride]

FR: Questo disco è differente dai precedenti.

E: Abbiamo lasciato il rock per sempre.

FR: Ci avevi detto, infatti, la volta scorsa di non essere un amante del rock.

E: Mi fermo ai Beatles, arrivo al massimo agli Oasis, che sono già fin troppo ‘fracassoni’ per me, ma ne apprezzo le melodie. Preferisco la musica leggera, come quella che faccio ora, diciamo pop.

FR: Qualcuno ti ha definito come una ‘Raffaella Carrà’.

E: Va bene, dai. La Carrà era un sex symbol. Comunque la storia della Carrà è venuta fuori perché quando mandavo i brani a Luca, per fargli capire che tipo di arrangiamento volessi dare ad un pezzo, gli dicevo: “fammi una musica giocattolo, oppure un qualcosa alla Raffaella Carrà, però un po’ Strokes”… 

FR: Non deve essere facile trasferire un’idea dalla propria testa a quella di un’altra persona.

E: No, infatti Luca mi mandava a quel paese o mi diceva di farmi di meno. [ride] Comunque lasciavo tutto nelle sue mani e quando mi mandava i provini, inizialmente gli dicevo che facevano schifo. Dopo una settimana li adoravo. Questo disco mi piace molto.

FR: È davvero un bel disco. Sei riuscito a far apprezzare questo genere anche a noi, che come gusti siamo parecchio distanti da Raffaella Carrà e decisamente più vicini al rock.

E: Comunque se per rock intendiamo il concetto di prendere gli strumenti e suonarli, anche questo disco è rock. 

FR: Ci sono delle belle chitarre funky.

E: Sì, però poi è un po’ alla ‘Dark Polo Gang’, alla ‘Achille Lauro’…

FR: Ti sei fissato con la trap?

E: Sì, sono i miei ascolti attuali. Devo ascoltare la musica dei giovani, dato che mi sto per reincarnare. Tra qualche anno rinascerò…

FR: …e sarai al passo coi tempi.

E: Sì, mi piace ascoltare la trap. Non ne condivido il messaggio, anche se penso che sia solo provocatorio, però mi piace l’uso del linguaggio. E pensate che, invece, il rap non mi è mai piaciuto. Questi ragazzi di oggi mi sembrano un po’ ‘paraculi’, però sono bravi.

FR: A proposito di ‘paraculi’: cosa ci dici della canzone ‘The Soldati’?

E: Che l’ho chiamata così perché non potevo chiamarla ‘Thegiornalisti’. Io ammiro tutti quelli che fanno successo, a prescindere, dato che io non ci sono mai riuscito. Alcune canzoni dei Thegiornalisti mi piacciono un sacco, ma quando nel brano dico “non c’è molta distinzione tra un cantante ed un coglione” mi faccio portavoce del fatto che, secondo me, per essere cantanti non sia obbligatorio essere intelligenti. Quando Orietta Berti cantava “finché la barca va, lasciala andare”, non era una frase così intelligente. Oppure quando ascoltavo ‘Hurricane’ di Bob Dylan, non ne capivo assolutamente il testo, ma ascoltavo la melodia, guardavo la copertina, le parole per me non erano importanti, ma lo erano, invece, le emozioni che mi trasmetteva quella canzone. Anche delle canzoni dei Beatles, cosa ci piaceva? Non c’erano nemmeno i testi stampati all’interno dei dischi, all’epoca. Ci piaceva il suono, ci affascinavano altre cose. 

FR: Un ragionamento semplice, che arriva al dunque senza troppi giri di parole.

E: Non è necessario essere intelligenti: la canzone, per me, è qualcosa d’altro. Per questo non voglio essere chiamato ‘cantautore’, perché a me di quello che dico non interessa assolutamente nulla. Non credo di dire totalmente delle stronzate nei miei testi, perché non mi reputo un deficiente, però se anche lo fossi e scrivessi musica bellissima, sarei contento comunque. Noi facciamo i musicisti, non i filosofi o i poeti.

FR: Abbiamo scritto, nella recensione del tuo disco, che non bisogna interpretare ogni singola parola di un testo, attaccandosi alla necessità di fare la parafrasi di ogni canzone.

E: Umberto Maria Giardini dice di applicarsi molto sui testi. Bravo, fa bene, ma io no. 

FR: Ognuno ha il suo metodo, certamente.

E: I Beatles hanno scritto alcuni testi veramente banali e loro stessi lo sapevano bene. Hanno scritto brutta musica? Assolutamente no, sono dei geni. I testi non erano così importanti per loro.

FR: Almeno non agli inizi, se poi un artista ha un’esigenza comunicativa fa anche bene ad esprimerla nei testi…

E: Ma non deve andare a discapito della musica. Frank Zappa era un detrattore di Bob Dylan, diceva che fosse un ‘coglione’. Io non so se Bob Dylan abbia scritto delle belle cose o no, ma le sue canzoni mi piacciono e questo mi basta. Poi da italiani è sempre difficile giudicare dei testi in lingua straniera. 

FR: Però dei testi di ‘Fru Fru’ ci va di parlarne, almeno un po’. Prendiamo il brano ‘Italia Gay. Dici “un’ora sola ti vorrei”, citando il brano…

E: Dei Matia Bazar.

FR: Come dei Matia Bazar? È un brano di Umberto Bertini, scritto nel 1938 e riportato al successo da Ornella Vanoni e poi da Giorgia. 

E: Quando ho scritto quel brano pensavo ai Matia Bazar, conosco anche la canzone che dite voi, ma pensavo a quella dei Matia Bazar che fa… ah, no, quella dice “e per un’ora d’amore venderei anche il cuore”. Che rincoglionito che sono! 

FR: Praticamente hai fatto una citazione involontaria, pensando ad un altro brano?

E: Esatto! Ve lo giuro, ma che rincoglionito che sono… Si sono sedimentate tutte le cose e dalla confusione che ho in testa… ma pensa te!

FR: Va beh, dai, involontariamente è comunque venuta fuori una bella citazione! Noi avevamo fatto tutto un collegamento fra la canzone del ‘38, che era stata censurata nell’epoca fascista, al fatto che la citassi nel brano ‘Italia Gay’ proprio per mettere l’accento sui tabù che sono presenti ancora nella società odierna. Invece con il duce non c’entrava niente! A parte il fatto che l’hai interpretato nel video del brano sanremese degli Zen Circus…

E: Ma avete visto come gli somiglio? Faccio paura! Non mi sono nemmeno voluto guardare in quel video, ho visto solo il primo frame e mi è bastato. Che schifo che faccio. 

FR: Ma è ‘Italia Gay’ o ‘Italia gaia’?

E: ‘Italia gaia’, ma può essere declinata anche come ‘Italia gay’…

FR: Quando dici “tu come fai? Tu che non muori mai”, cos’è che non muore mai?

E: In realtà moriamo tutti, io non so mai bene di cosa parlano i miei testi. Comunque questo disco l’ho scritto negli ultimi quaranta giorni di vita di mia mamma ed era molto strano perché stavo con lei, che stava morendo, durante tutto il giorno e poi andavo a registrare questi brani molto felici e da una parte sono contento di averlo fatto perché in momenti così brutti bisogna far leva sulle forze positive. Quindi cantare quelle canzoni, in un qualche modo, mi teneva su. 

FR: Il ‘Fru Fru’ sarebbe la denominazione che si dà in alcuni dialetti del nord al biscotto wafer. Il tuo è un wafer vegano, giusto?

E: Sì e poi il biscotto ha anche un doppio senso, un riferimento sessuale. Sono come Dante, faccio delle dietrologie nei miei testi [ride].

FR: Dopo quello che ci hai detto poco fa, non possiamo non cogliere la tua ironia. 

E: Vi dico una cosa. Io credo che le canzoni esistano già, sono da qualche parte, non le inventiamo noi, ma le captiamo. Anche i libri, non siamo noi a a scriverli, ci viene mandata l’ispirazione da qualcun altro. Evidentemente chi manda le canzoni a me si diverte molto a prendermi in giro.

FR: Hai un ispiratore un po’ ubriaco. E un po’ fru fru.

E: O come nello sketch di Lino Banfi, un po’ ‘fri fri’. 

FR: Invece il senso di ‘Abat-jour’, se un senso ce l’ha? (Come diceva Vasco).

E: ‘Abat-jour’ è un brano che doveva essere inserito nel mio precedente disco e che per motivi di arrangiamento era rimasto da parte. Parla della mia condizione di uomo senza uno stipendio, del fatto che da quando ho lasciato il mio lavoro di operaio e sono ritornato a fare il cantante non ho più uno stipendio fisso. Parla della mia povertà, del fatto di non potermi comprare mai niente.

FR: E perché proprio una lampada?

E: Perché un giorno ero andato all’Ikea e l’unica cosa che potevo permettermi era una piccola abat-jour da 3€. 

FR: Hai veramente una spiccata ironia, nell’intervista scritta sarà difficile farla percepire, ma parlando con te si coglie immediatamente. A proposito di ironia, qualche giorno fa hai condiviso la nostra intervista a Cesareo degli Elio e Le Storie Tese. 

E: Ah, Cesareo lo conosco da quando eravamo bambini! Pensate che siamo cresciuti nello stesso quartiere e frequentavamo la stessa parrocchia, poi un giorno ho scoperto che era un chitarrista pazzesco. Non ci siamo mai parlati, ma lo vedevo sempre all’oratorio. Avrei dovuto capire subito che sarebbe diventato un grande chitarrista perché un giorno suonò ‘Eruption’ dei Van Halen ed io pensavo che non fosse possibile farlo. Invece lui ci riusciva. Così, ripiegai andandomi a comprare Playboy… l’unica cosa che sa fare la mia mano.

FR: Ti sarebbe piaciuto fare un genere di musica simile alla loro, così incentrata sull’ironia?

E: Trovo che abbiano scritto alcuni brani pazzeschi, come ‘Servi della Gleba’, però non è proprio il mio genere. A me piace più cantare le melodie. Sono più donna.

FR: Infatti questo disco è cantato quasi tutto al femminile, come mai?

E: Perché siamo tutti al 50% maschi e al 50% femmine. Io sono maschio da mezzogiorno a mezzanotte e femmina da mezzanotte a mezzogiorno. Siccome i brani li scrivo sempre di notte, vengono fuori al femminile.

FR: Quindi dopo mezzogiorno perdi l’ispirazione.

E: Sì, quando sono maschio penso soltanto al pallone. 

FR: ‘Ovidio e Orazio’ come mai ti hanno rotto così tanto i coglioni?

E: Facevo il liceo classico ed ero bullizzato dai professori che mi davano sempre 4. È stato un periodo tremendo delle mia vita, al liceo incominciai a capire che non sarei diventato nessuno. Gli altri imparavano ed io non imparavo niente. Alla fine sono finito a fare l’operaio che monta i ponteggi, pur venendo da una famiglia piccolo borghese. Ho fatto indietreggiare la mia famiglia, insomma. Mio papà era un designer di successo. 

FR: L’idea della copertina, com’è nata? Di questo bell’arancione acceso.

E: L’arancione è il colore degli Hare Krishna. Comunque ho visto il disco in mezzo ad altri e si nota, è talmente brutto che non puoi non vederlo. Scherzo, mi piace molto. Un ragazzo mi mandò la foto del biscotto con scritto ‘Edda’ e da lì ho preso l’idea per la copertina.

FR: Oggi l’immagine è importante. Parliamo ancora di un brano, la ‘Vela Bianca’ cosa rappresenta?

E: Velabianca era una mia compagna di classe, che era la fidanzata del batterista dei Casinò Royale, si chiamava proprio Velabianca. Era una ragazza bellissima.

FR: E come mai le hai dedicato una canzone?

E: Così, mi era venuta in mente… stavo ascoltando una canzone degli Equipe 84 ed è arrivata l’ispirazione. Sono contento di averle dedicato una canzone. Comunque il testo non parla di lei.

FR: ‘Vanità’ allora è dedicata ad un tuo amico delle elementari? 

E: [ride] No, ‘Vanità’ mi piace perché è scurrile. Sarebbe potuta essere un singolo. Purtroppo, se le canzoni di Mahmood le cantano in chiesa, lo stesso non si potrebbe fare coi miei pezzi. Però mi piacerebbe sentire ‘Vanità’ cantata in una chiesa, verrebbe benissimo. 

FR: Sarebbe già fantastico sentirla in radio, ma purtroppo viviamo in un mondo dove la forma prevale sulla sostanza. Ed un linguaggio con riferimenti sessuali espliciti è ancora mal tollerato.

E: Ed è assurdo, nell’era di YouPorn. L’uomo ha le stesse pulsioni da sempre, la società è cambiata per il progresso scientifico, ma credo che gli antichi romani fossero come noi. La mattina si alzavano con i coglioni girati esattamente come noi.

FR: Siamo gli stessi animali di 2000 anni fa.

E: Le coscienze e le turbe sono le stesse. Il sesso esiste da sempre, così come la morte, la vita, la vecchiaia, la malattia. Pensiamo di essere diversi perché abbiamo innovazioni tecnologiche, ma nella testa ci sono sempre quelle due o tre cose che girano: i soldi, la sicurezza, l’avvenire. Poi finisce tutto.

FR: Finisce e poi, secondo te, ricomincia.

E: Eh, sì. Per questo dobbiamo sempre cercare di fare dei piccoli passi in avanti. Nella prossima vita vedrete che sarò un bravissimo chitarrista.

FR: E magari riuscirai a suonare anche tu ‘Eruption’ dei Van Halen.

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