Puro Veneno: Intervista a Massimiliano Lambertini

Il 15 Aprile è uscito – anticipato dai singoli Interstellare, Che Cosa C’è Che Non Va e Ogni Mondo è DiversoQuesto Disco Mi è Costato Una Fortuna, l’album d’esordio dell’alt-rock band ferrarese Puro Veneno, edito per Alka Record Label presso il Natural Headquarter Studio di Ferrara, sotto la produzione artistica della ormai inseparabile coppia composta da Michele Guberti e Manuele Fusaroli.

Abbiamo intervistato il bassista della band, nonché produttore discografico e fondatore della Alka Record Label e di (R)esisto, Massimiliano Lambertini.



Ciao Massimiliano. Cominciamo subito col chiederti se avete ripreso l’attività live, dopo questi due anni di pandemia.

Abbiamo suonato alla festa del 1 Maggio di Ferrara, dove abbiamo presentato il disco e anche qualche brano inedito, che andremo a registrare prossimamente. Siamo stati molto felici della risposta del pubblico. Ci eravamo esibiti anche a dicembre, al Blackstar di Ferrara, in un’atmosfera molto intima e familiare, mentre in questa data del 1 Maggio ad accoglierci c’era una folta platea di ascoltatori attenti e appassionati, anche di giovane età. Abbiamo ricevuto numerosi complimenti per la freschezza della nostra proposta musicale, ritenuta divertente e di facile ascolto. D’altronde, quando suoniamo, io mi diverto un sacco.

Siete tornati sul palcoscenico, ma anche in studio. Com’è nato Questo Disco Mi è Costato Una Fortuna?

Personalmente, avevo proprio bisogno di tornare a scrivere. Erano passati troppi anni dall’ultima volta che avevo prodotto qualcosa di mio, precisamente dal 2013, e dall’ultima volta che avevo suonato su un palco, ai tempi dei Koinè. Lo stesso vale per i miei compagni di viaggio. Marco Orsini, il batterista, in questi anni si è dedicato al cantautorato e ha fatto due dischi, mentre Jack Tormenta, che è un musicista incredibile, ha lavorato molto in studio, con numerose collaborazioni, da Nada ad Andrea Mirò, passando per i live con Giorgio Canali. In comune avevamo proprio questa esigenza di scrivere, per dimostrare a noi stessi di essere ancora capaci di creare canzoni in grado di arrivare a qualcuno, non importa a quanti. Ci interessava che passasse il nostro messaggio, che abbiamo cercato di divulgare con testi apparentemente semplici, ma che sottendono delle idee e dei concetti profondi e quasi desueti, nella musica contemporanea.

Si è dibattuto spesso, anche ultimamente, con riferimento ai tristi fatti che stanno avvenendo in Ucraina, sul ruolo della musica nella politica o viceversa. Tu cosa ne pensi?

Io credo che sia un dovere di ogni musicista, ma più in generale di ogni artista, quello di affrontare certi argomenti, di raccontare come funziona il mondo.

Tenendo sempre presente che Ogni Mondo è Diverso, come recita il titolo di uno dei vostri brani.

Certamente, nessuno detiene la verità assoluta. Ciascuno di noi ha una propria visione del mondo, ma abbiamo il dovere di dire la nostra. Rimpiango gli anni dei Litfiba, che con Woda Woda, ad esempio, trattavano il tema della mancanza d’acqua nei Paesi del Terzo Mondo. Da ragazzino mi affascinavano quegli artisti che parlavano delle controversie della contemporaneità, cercando, attraverso la musica, di fare la loro rivoluzione.

Nei vostri testi, quanto c’è di autobiografico?

Innanzitutto, il nostro pensiero: non scriviamo nulla che non ci rappresenti. Inoltre anche il nostro vissuto, com’è normale che sia, influenza la stesura delle liriche dei Puro Veneno. Io e Te, ad esempio, è la canzone che Jack ha regalato a sua moglie. Non è la classica ballad d’amore melensa e questo è dovuto anche al tipo di linguaggio, colloquiale e anche dialettale, che abbiamo utilizzato. Un altro esempio di questa scrittura genuina e autobiografica lo troviamo nel ritornello della title track, che descrive le mie esperienze in tour con i Koinè.

Come nascono, dunque, i vostri pezzi? I testi sono frutto di un lavoro corale o individuale?

Di solito partiamo da un’idea musicale del brano, generalmente partorita da uno di noi e condizionata dai nostri ascolti, sulla quale jammiamo per trovare il sound giusto. Una volta improntata la base ci riuniamo in sala prove per trovare tutti insieme la linea vocale giusta e il testo più azzeccato, attinente alla tematica che abbiamo scelto. È veramente un lavoro corale. Le parti più aggressive sono le mie, perché ho sempre amato il metal e il crossover, sebbene, nel tempo, abbia imparato a dosare il mio impeto al fine di ottenere un suono più semplice e pop, diciamo così.

A volte è meglio togliere che aggiungere.

Certo, difatti i miei bassisti preferiti non sono quelli che ostentano il virtuosismo, ma sono quelli che fanno poche cose, ma fatte maledettamente bene, come Paul McCartney o, per fare esempi più moderni, il bassista degli Editors e quello dei Foo Fighters. Il focus, secondo me, deve essere sulla canzone e sull’emozione sonora, più che sulla tecnica.


Nelle tracce di Questo Disco Mi è Costato una Fortuna si possono percepire varie influenze musicali. In che modo i vostri ascolti caratterizzano lo stile delle canzoni?

La passione comune per il rock ci accompagna sin dagli anni ’80; i miei ascolti, però, sono prevalentemente internazionali, mentre quelli di Marco, con cui suono da quando avevamo 12 anni, tendono più verso il rock italiano, abbracciando anche culture diverse, tra reggae e rythm ‘n’ blues, e questo si percepisce, ad esempio, nel brano Dov’è Bello Morire, scritto interamente da lui, che ha un’anima latina e parla delle favelas. Il tema delle condizioni sociali di alcuni popoli, costretti a lottare o a scappare dalla miseria e dalle guerre, lo ritroviamo anche in In Mezzo al Mare. È un argomento che ci tocca parecchio e posso dire di essere orgoglioso di come l’Italia si impegni per non abbandonare queste persone al loro destino, alla deriva su un gommone.

Nel testo di In Mezzo al Mare troviamo queste parole, poste sottoforma di domanda: “La verità è solo quello a cui credi, la realtà è solo quello che vedi”. Pensi che siano uno specchio della società attuale, che mescola realtà concreta e realtà virtuale?

Siamo molto critici nei confronti della società moderna, troppo presa dal mondo della tecnologia e poco concentrata sulla vita vera. Questa tematica la possiamo ritrovare anche in Interstellare, che analizza il contrasto tra la ricerca di nuove forme di vita nell’universo e l’assenza di contatto umano tra persone fisicamente vicine tra di loro, ma troppo concentrate sul mondo virtuale.



Puro Veneno è un nome particolare, da dove arriva e cosa significa?

Il nome che avevamo scelto originariamente per la band era Curro Romero, in onore di un torero spagnolo di cui avevamo il poster nella sala relax del NaturalHeadQuarter. Era l’immagine che ci rimaneva impressa ogni volta che chiudevamo la porta degli studi. Poi, un giorno, Jack vede un illuminante documentario sulla Colombia e decidiamo di abbandonare l’idea del torero. Puro Veneno (Puro Veleno in italiano) è un collettivo di artisti colombiani che, attraverso le arti grafiche, cerca pacificamente di fare la rivoluzione. Attraverso manifesti e murales, questi artisti lanciano dei messaggi alla popolazione, al fine di risvegliarla, di metterla in guardia dai politici corrotti o dai cartelli della droga. Siamo rimasti talmente affascinati da questa storia che abbiamo deciso di contattare i colombiani, inviando loro i nostri brani ed esprimendo apprezzamento verso il loro impegno. Ci hanno risposto entusiasti e onorati, al punto da concederci ufficialmente di usare il loro nome e il loro logo, a cui ci siamo ispirati per la grafica della copertina di Questo Disco Mi è Costato Una Fortuna. Visto che la nostra band è composta da tre persone, abbiamo deciso di mettere tre teschi, anziché uno.

Grazie mille Massimiliano per la tua disponibilità e un saluto a tutta la band.

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